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Porto: nessun viaggio è definitivo

La viaggiatrice lo aveva promesso: quel saluto di quattro anni prima, rivolto ai milioni di piastrelle, tegole e galletti di Lisbona, era soltanto un arrivederci. José Saramago nel frattempo è passato a miglior vita, ma poiché le parole degli scrittori non scompaiono con chi le ha scritte, nessuno le vieta di continuare a considerarlo − come se niente fosse − il faro che indica la rotta.
La vediamo dunque ripartire da Porto, appollaiata sulla riva settentrionale del Douro, a cinque chilometri dalla foce. Giusto per ricordare alla viaggiatrice che questo Paese si affaccia sul mare, ma non su un mare qualsiasi: sull'oceano, quell'Atlantico da dove partirono i primi esploratori del nuovo mondo (e i portoghesi, all'epoca, erano in prima fila).
Non si può pretendere troppo dall'oceano. Non ci si può certo aspettare l'aria calda che invita al bagno e l'acqua tiepida e calma. No, l'estate oceanica rende felici parecchio i surfisti e tutti quelli che del vento godono per sport, non certo i bagnanti abituati al clima mediterraneo, o peggio, tropicale. Ma rende felice la viaggiatrice, che dell'afa mediterranea è, a dire il vero, un po' stufa.
Lungo l'Avenida dos Alliados il piccolo trolley ruzzola a lungo sui marciapiedi realizzati con piccole pietre a mosaico, fino alla stanza prenotata su internet, situata nelle vicinanze della centrale Stazione di São Bento. La sera serve un maglione pesante per mangiare l'arroz de marisco ai tavolini all'aperto, e il vino maduro non è sufficiente per scaldare del tutto la viaggiatrice neoarrivata. Insomma l'esperienza insegna che non si deve mai parlare troppo presto, non dire gatto se non ce l'hai nel sacco, come dire che la gatta frettolosa fece i gattini ciechi.
Porto di giorno è tutto un riverbero di raggi del sole che si riflettono sulle piastrelle colorate, il cielo è terso e punteggiato di gabbiani, i panni stesi sembrano vivi. I barcos rabelos, le tradizionali barche impiegate per secoli nel trasporto del celebre vino locale, aspettano i numerosi turisti per i classici giri in tripla lingua registrata, che illustrano le vicissitudini architettoniche dei sei ponti sotto i quali le comitive galleggianti devono passare mentre, a seconda della direzione in cui si naviga, possono fotografare comodamente prima l'antico quartiere della Ribeira e poi Vila Nova de Gaia, che le sta di fronte, o viceversa.
Invece della ovvia visita guidata in italiano alle cantine di produzione del famoso vino Porto (con successiva degustazione), salendo su un vecchio tram elettrico la viaggiatrice raggiunge il punto in cui il fiume finisce e inizia l'Oceano. A segnarne il passaggio c'è un faro, a righe orizzontali bianche e rosse. Le onde sono schiumose e i pescatori tutti in fila contro il tramonto. Proseguendo la passeggiata verso nord la lunghissima Avenida do Brasil scorre parallela alle spiagge (ma si vede lontano un miglio che non è il Brasile) e non finisce mai. La viaggiatrice infatti a un certo punto si è stancata di percorrerla ed è montata sul primo autobus, che l'ha condotta al Palazzo di Cristallo.
L'usanza di chiudere i ristoranti presto, o di non aprirli proprio la domenica sera, costringe la viaggiatrice a varcare la soglia di una losca churrascaria, dove, per paura che glielo friggano, non si arrischia a lasciare incustodito nemmeno un fazzoletto.

Racconto di viaggio "C'ERA UNA VOLTA... IN PORTOGALLO"

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