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Alcuni validi motivi per trasferirsi ai Tropici
All'aeroporto di Nosy Be, l'isola grande situata a nord ovest, decine di tassisti sudati e isterici scagnozzi degli albergatori accolgono i passeggeri appena sbarcati. Siccome nell'isola c'è un villaggio turistico all inclusive, si sarebbe portati a credere che qui ci si possa facilmente imborghesire, cominciando a partecipare a balli di gruppo e giochi aperitivo in spiaggia.
Le cose tuttavia non stanno propriamente così, in quanto il villaggio turistico si trova in una penisola minuscola situata all'estremità nord-occidentale dell'isola ed è praticamente blindato. Inoltre nell'isola c'è una sola via asfaltata e la corrente elettrica è quasi del tutto assente. Infine il tenore di vita degli abitanti è misero proprio come nella Grande Isola, con l'aggravante che a Nosy Be l'agricoltura è pochissimo praticata, anzi da alcuni viene considerata un'attività da terroni. Non solo, l'equivoco che qui ci siano possibilità di lavoro inganna anche i poveri immigrati da Tuleàr, che vengono qui (alcuni con zebù al seguito) e non sanno che lo zuccherificio è fallito due anni fa e che i turisti ci sono praticamente solo nel mese di agosto e alla maggior parte di loro interessa soltanto fare sesso a costi irrisori con le malgasce.
Una delle possibilità opzionabili qui è cercarsi una barca che non cada a pezzi e organizzare una gita di 4 o 5 giorni nelle meravigliose isole sparse nell'incontaminato mare cristallino che circonda Nosy Be, dormendo nella barca stessa o accampandosi in tenda. Per fare ciò bisogna andare al porto, chiacchierare con i vari capitani e filibustieri locali, annusare i movimenti di merci, dare un'occhiata alle imbarcazioni, scoraggiarsi qualche quarto d'ora e infine trovare quella che fa al caso proprio.
L'alternativa è prendere una stanza in un hotel di una località balneare situata sulla costa occidentale (più si va verso nord più salgono i prezzi) ed esplorare in giornata le meraviglie nascoste nel mare circostante. Nel frattempo si può (strade permettendo) visitare l'interno dell'isola che è occupato dalla foresta tropicale, da coltivazioni di ylang ylang (gestite tutte dagli indiani) e canna da zucchero e da piante spontanee di pepe, vetiver, cannella, caffè. A sud-est inoltre vi è la Riserva di Lokobe, che presenta un piccolo riassunto della flora e della fauna malgascia, e al centro il Monte Passot, alto appena 315 metri ma chiamato dai locali "la grande montagna", circondato da laghetti vulcanici.
Ambatoloaka è un piccolo villaggio di Nosy Be, finto ma pittoresco e affollato di hotel, ristoranti e negozietti il più delle volte squallidi (si affretta a sottolineare l'eticissima guida Routard), che sorge a fianco del villaggio vero e proprio che si chiama Dar-Es-Salaam. I gestori sono per la maggior parte francesi e italiani che qui hanno trovato il loro paradiso, anche se probabilmente si aspettavano un maggiore afflusso turistico.
Il grosso di queste attività sorge a ridosso della spiaggia che è più o meno bella col variare delle maree: in alcuni momenti è una lunga porzione di sabbia bianca con mare pulitissimo punteggiato da catamarani e motoscafi, in altri l'acqua è distante e poco profonda e sabbia e mare sono pieni di alghe, ogni tanto infine la spiaggia è completamente sommersa dalle onde dell'alta marea.
Sia di giorno sia di sera, ad Ambatoloaka è possibile assistere ai proficui scambi culturali di cui sono protagonisti i forti bevitori vazaha ("bianchi") e le signorine malgasce. Sulla spiaggia avvengono i primi contatti (non serve conoscere la lingua, i gesti sono abbastanza eloquenti), mentre nei bar e nei ristoranti (che siano gestiti dalla matrona endemica o da napoletani dai lunghi capelli unti) la maggior parte della clientela è costituita da coppie miste: solitamente lui ha i capelli bianchi e la camicia fantasia semi-sbottonata e beve in continuazione, lei è visibilmente annoiata e a volte proprio depressa, salvo i casi in cui è completamente sbronza pure lei. In tarda serata, nel locale con il biliardo e il dj, alcune giovanissime signorine leopardate giocano a stecca, mentre al karaoke c'è un solo cliente alcolista che si cimenta con i brani di Eros Ramazzotti e Laura Pausini.
Manina tutti la conoscono: ah, l'italienne, andate su per di qui! La troviamo nella sua casa di legno vista mare che, durante la stagione delle piogge, diventa praticamente isolata nel fango. Tutto iniziò con un viaggio alla ricerca di spiagge incontaminate e buone letture: adesso sono otto anni che questa professoressa di filosofia in pensione vive qui. «All'inizio decisi di pagare la retta scolastica ad alcuni bambini, che sono solo quattro euro al mese, ma per un malgascio sono una grossa cifra; man mano i "bambini di Manina" sono aumentati a dismisura, finché ho cominciato io stessa a mettere su scuole gratuite tramite la mia associazione, e adesso sono migliaia i bambini che vanno a scuola». Col tempo queste donna simpaticissima ed energica è diventata un punto di riferimento anche dal punto di vista sanitario, «visto che nel Paese si muore per infezioni, per malaria, per bilharziosi, per sifilide, per i vermi, e a volte basterebbe un semplice disinfettante per salvare una vita. Invece gli ambulatori sono difficili da raggiungere e inoltre bisogna pagare la visita, la ricetta e anche le medicine.»
Ci spiega Manina che a Nosy Be coltivano solo un po' di manioca; galli e galline razzolano liberi; solo poche persone producono le uova; il riso viene dal Pakistan e tutti i prodotti alimentari arrivano dalla Grande Isola. «Il mio sogno è quello di costruire una scuola di agraria e insegnare a coltivare ai ragazzi, ma il proposito è molto laborioso, perché prima bisogna cambiare la mentalità della gente.» Al momento del commiato gli occhi le si illuminano: «Mi stava balenando l'idea di produrre formaggio qui a Nosy Be... voi cosa ne pensate?»
Racconto di viaggio completo "MADAGASCAR. Un'omelette nell'oceano Indiano"