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Là-bas, a Tuleàr
A Tuleàr do l'addio all'autista dal torrido sguardo orientale tipico degli attori di Wong Kar-Wai: una barca mi condurrà ad Anakao, un pittoresco villaggio di pescatori ancora poco conosciuto dal turismo. E lì bisogna solo pregare che il motoscafo non si cappotti nel tragitto, poi se ne capita uno funzionante, o addirittura veloce, tanto di guadagnato.
Già l'inizio non è confortante, quando realizzo che per issare le mie chiappe a bordo devo farmi dare un passaggio da un carretto di legno trainato da zebù anfibi. La compagnia sul motoscafo è invece prestigiosa: vi è il sindaco di Sarodrano, villaggio à côté di Anakao, c'è un dj rasta fumatissimo tutto vestito di nero, con grandiosi occhiali a specchio, cappello trendy e ciondolo gigante, che nonostante le apparenze è nientepopodimeno che il nipote del re di Anakao e figlio del sindaco di Tuleàr, e infine ovviamente c'è il pilota, che è un energumeno di nome Rigoberto.
Il comitato di accoglienza a destinazione è costituito dal mesto titolare dell'hotel in cui dormirò, un francese spiegazzato e pallido con l'aria vagamente esistenzialista, e dai suoi dipendenti abbigliati con lucenti camicie a righe verticali. Questa è vita! Mi scappa da esclamare di fronte al drink di benvenuto e poi stesa al sole su un lettino imbottito in spiaggia. Alle 2 si alza il vento. Alle 4 fa freddo. Alle 6 è buio.
Mi trovo su un'infinita spiaggia bianca, protetta dalla barriera corallina, a ridosso della quale vi sono alcuni hotel e ristoranti più o meno scalcagnati, e a seguire il vero e proprio villaggio dei pescatori Vezo, che è il nome dell'etnia locale. La loro vita si svolge sulla spiaggia, dove costruiscono le loro piroghe in legno dipinto a colori sgargianti e dotate di vela realizzata con la tela dei sacchi di riso: le vele sono quadrate così che da lontano sembra un kolossal sull'Odissea con Ulisse che fa ciao ciao con la mano. Le donne utilizzano una polvere di legno gialla o arancione come maschera di bellezza e per proteggersi dal sole. I pesci li affumicano infilzandoli in bastoni piantati nella sabbia a formare un cerchio al centro del quale accendono il fuoco. La sabbia serve a molteplici scopi: lavare i piatti, seppellire i propri bisogni, disegnarci su opere d'arte (piroghe e zebù), trovarci conchiglie giganti da rivendere ai turisti. Di fronte, raggiungibile via motoscafo, c'è l'isolotto di Nosy Ve, riserva naturale marina dove nidificano i rarissimi fetonti dalla coda rossa, questi uccelli bianchi e neri appollaiati tra i cespugli.
I due giorni di soggiorno ad Anakao prevedono mare, sole, passeggiate e laute mangiate da "Emile aime île" (questo Paese è pieno di geni del copywriting) dove ci si può strafogare impunemente di aragoste, granchi, calamari, polpo, pesci grigliati.
Anche per andare a Ifaty, altro villaggio sul mare situato a nord di Tuleàr, salgo sull'imbarcazione dell'eroico Rigoberto. Questa volta ha come aiutanti i suoi 4 figli ed è una grande fortuna perché il motore ha un po' di problemucci e il nostro uomo deve trascorrere tutto il tempo della traversata a ripararlo in corsa, sostituendo candele ricoperte di ruggine millenaria.
Ifaty è costituita da: bungalow sulla spiaggia, enormi palme da cocco, bar e piroghe. Un'aria di desolazione circonda la donna con la muta che pulisce la piscina, la ragazzina magra che fa i massaggi, il cameriere rasta con i suoi orrendi cd, il ristorante pretenzioso ma deserto. Visito con le infradito la foresta spinosa Reniala: dalla terra rossa emergono i baobab con i loro frutti simili a maracas di alcantara marrone, e intorno erbe medicinali e piante succulente; su tutto incombono grigie nuvole rapide sospinte da un vento continuo.
Uscire da Ifaty via terra richiede stomaci forti e resistenza fisica: la strada è tutto un buco e raggiungere l'aeroporto di Tuleàr all'alba, quando è buio e freddo, è piuttosto scoraggiante. L'aeroporto è ancora deserto, sola sta nel parcheggio una Renault 4 arancione. Poi man mano arrivano alla spicciolata i turisti (tra cui la solita famiglia francese che, da Milano in poi, incontro ad ogni tappa), i malgasci ricchi (donne attillatissime dai lunghi capelli ricci mesciati, rossetto e orecchini a cerchio giganti) e alcuni raffinatissimi indiani.
Racconto di viaggio completo "MADAGASCAR. Un'omelette nell'oceano Indiano"