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Cape Town in bianco e nero

Appena arrivati a Cape Town siamo saliti sulla Table Mountain con la cabinovia panoramica girevole. La fila è scoraggiante, finché non capiamo che stanno tutti ad aspettare le 5, orario in cui il prezzo del biglietto si dimezza. Noi, che abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno: scavalchiamo tutti e paghiamo il prezzo intero.
Sulla piatta montagna ci sono vari sentieri ad anello, di diverse lunghezze, che attraversano la tipica vegetazione bassa dei fynbos, mentre quegli animaletti che si possono vedere scorrazzare qua e là sono i dassie (in italiano irace o procavia del Capo). Lo spettacolo dall'alto è vertiginoso.
Pian piano le nuvole si addensano come una tovaglia sulla tavola e la temperatura scende. Quando il vento diventa tagliente c'è chi si rifugia nel bar e chi riprende la cabina girevole per tornare alla base. Uno dei partecipanti, siccome le altre volte viaggiava da solo, si era scordato che questa volta aveva deciso di partire in gruppo, quindi ha deciso di godersi il tramonto dall'alto (studi autorevoli dimostrano che certe meraviglie del mondo possano creare dei temporanei vuoti di memoria). Nelle due ore di attesa al parcheggio, gli altri partecipanti hanno ascoltato lo stesso cd diverse volte: per loro certi pezzi rock rimarranno per sempre legati al centro di Cape Town che si accende gradualmente man mano che cala la notte.
Il centro di Cape Town (il Bowl, la scodella della città) è un anfiteatro luminoso che circonda la Signal Hill, la verde collina allungata che termina con un cucuzzolo appuntito. La prosecuzione meridionale di questa montagna cittadina è l'imponente Table Mountain, mentre – continuando ancora verso sud – inizia la penisola del Capo, il braccio occidentale di questa estesa tenaglia che è la False Bay. La posizione e la conformazione della città (che ricordano quelle di Rio de Janeiro) hanno uno straordinario fascino, e questo lo avevamo osservato sin da quando, provenendo da Betty's Bay, avevamo percorso il tratto orientale della baia.
A Cape Town siamo andati sulle bianchissime spiagge oceaniche: Clifton (appena sotto la Signal Hill) e Camps Bay (più a sud, parallela alla mastodontica montagna piatta). Abbiamo attraversato a piedi il quartiere di Sea Point, fino a raggiungere lo stadio di Green Point e poi il Waterfront, la zona del porto ristrutturata e riempita di attività commerciali e ristoranti. Abbiamo visitato il centro: l'arteria principale Long Street dove ci sono gli ostelli, i ristoranti, i club, i negozi di tendenza, gli edifici stile Cape Dutch; il castello di Buona Speranza, eretto nel 1600 dalla Compagnia Olandese delle Indie orientali, e la Grand Parade, la piazza da parata ora usata come parcheggio, di fronte al City Hall, da dove Mandela fece il suo primo discorso una volta liberato. Pregevoli sono anche i lussureggianti Company's Garden, il mercatino di Green Market Square, le severe chiese luterane, il quartiere malese di Bo Kaap con le case colorate, i Kirstenbosch Botanical Gardens.
Nonostante il forte vento, il provvidenziale "Cape doctor" che cura la città dall'inquinamento, faceva un caldo terribile.
Anche di Città del Capo abbiamo conosciuto soltanto la parte più fotogenica e ammirata dai turisti, evitando del tutto l'area più vasta e popolata, i cosiddetti Cape Flats, destinati ai non-bianchi durante il regime dell'apartheid. I non-bianchi di Cape Town, oltre ai neri, sono i coloured o meticci, discendenti sangue misto di tutto un miscuglio di gente che è venuta a vivere qui, più o meno per sua scelta (schiavi africani e malesi, coloni olandesi ed altri europei, le popolazioni indigene Khoisan e Bantu). Poiché i Cape Flats li avevo solo intravisti dall'aereo, quando sono tornata a casa ho cercato di visitarli con Google Earth, ma ho scoperto che la maggior parte dei quartieri non si possono vedere nemmeno virtualmente, perché l'omino arancione non può proseguire oltre la via principale che circonda il quartiere. Così mi sono dovuta accontentare di osservare da alcune angolazioni tutte quelle case di lamiera ondulate e accatastate una sull'altra con molte antenne che fuoriescono, immaginando soltanto scarsità di igiene e luce e acqua e bambini che corrono.
Nei quartieri centrali di Cape Town all'epoca ci abitavano solo i bianchi, meno del venti per cento della popolazione. Ancora oggi sono bianchi i clienti dei bar lungo la Camps Bay, quelli che mangiano il sushi e bevono i cocktail ascoltando musica lounge, e quelli che la sera vanno nei club. Sono bianchi quelli che vanno a correre sul lungomare con minuscole tutine o calzoncini attillati, tutti con gli auricolari nelle orecchie. Sono bianchi quelli che hanno fatto costruire ascensori per collegare il piano di sopra con quello di sotto delle loro abitazioni affacciate sull'oceano, che hanno dotato i muri di cinta delle loro villette all'europea di fili elettrificati e sofisticati impianti di allarme e che hanno sottoscritto un contratto con la vigilanza privata, a giudicare dai cartelli che promettono – nero su bianco – una risposta armata in caso di intrusioni ("siete state avvertiti"). Sono bianchi i vip e le modelle che affollano le spiagge numero uno e due di Clifton; sono bianchi i gay e le lesbiche che affollano la spiaggia numero tre e sono bianche le famiglie che affollano la numero quattro.
I neri però sono molto più furbi perché frequentano le spiagge della False Bay, dove l'acqua è più calda di circa 10 gradi e possono farsi il bagno, cosa che a Clifton è praticamente impossibile. 

Racconto di viaggio completo "UN VIAGGIO IN CAPO AL MONDO. Un inverno estivo in Sudafrica"

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