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L'oro nero di Baku
Quando arrivò a Baku nel 1991, il giornalista e scrittore Tiziano Terzani inizialmente ebbe la sensazione di essere ormai giunto in Europa, ma presto anche qui, come in tutto il resto dell’URSS in disfacimento che aveva attraversato, venne sopraffatto dalla miseria e dallo squallore. Circa un trentennio dopo, il mio breve volo notturno partito da Almaty atterra all’alba al modernissimo aeroporto "Heydər Əliyev", che all’epoca Terzani aveva paragonato a un deposito di immondizie.
Il sovreccitato tassista Emin mi mostra con grande orgoglio la città, che ha visto recentemente una straordinaria spinta innovativa dal punto di vista urbanistico; non a caso durante il tragitto verso l’hotel si avvicendano svariati grattacieli arrossati dall'alba, alcuni ancora in costruzione. Emin mi comunica che il Presidente Əliyev padre (a cui è intitolata anche la strada che stiamo percorrendo) era migliore del figlio che è attualmente al potere; per quanto riguarda me, a causa del mio sorriso (a suo dire) empatico è convinto che io sia una psichiatra, anche se in realtà sto semplicemente cercando di non addormentarmi, mentre lui per tutto il tempo non la smette un secondo di parlare.
Anche il personale dell’hotel è così cerimonioso ed ospitale da apparire sin da subito insopportabile. Apprezzo comunque il fatto che mi danno una camera già usata da un altro ospite per fare un riposino di un paio d'ore.
Alle 10 ho appuntamento con un altro Emin nel giardino dedicato al famoso poeta satirico Mirza Alakbar Sabir. Questo Emin, che mi guiderà in un free walking tour della città vecchia, è piuttosto imbronciato, e poi sembra che abbia imparato la lezione a memoria. In ogni caso, superiamo le antiche mura attraverso i double gates ed entriamo nella cosiddetta "città murata", patrimonio mondiale dell'umanità. A dire il vero nel 2003 l'UNESCO, citando i danni subiti dal terremoto del 2000 e la scarsa conservazione, incluse il complesso nella lista dei patrimoni in pericolo, da cui poi è uscito in seguito all'esecuzione di importanti lavori di restauro. Gli edifici storici di pietra giallina e i balconi in legno mi ricordano La Valletta, ma ogni tanto alzando gli occhi appaiono le cime in vetro delle Flame Towers, tre grattacieli a forma di fiamma che sono diventati il simbolo di Baku. Mi sembra il manifesto pubblicitario che già all’aeroporto di Istanbul mi aveva invitato a visitare questa "terra di vibranti contrasti”.
Ed eccoci qua. Questo è un ex caravanserraglio trasformato in ristorante, questa grande scultura a forma di testa, vista da vicino, contiene una serie di pregiati bassorilievi, mentre quello è il Palazzo degli Shirvanshah, che custodisce il mausoleo degli scià che governarono a lungo la città. Ecco l'iconica Torre della Vergine, il piccolo Museo dei libri in miniatura e poi i numerosi hammam, le piccole moschee, gli atelier di artisti e i negozi di tè, dolci, souvenir in genere. Insomma, la vecchia Baku, tutta infiocchettata per i turisti, racconta circa mille anni di storia.
Appena fuori dalle mura c'è il ristorante Xezer, che a conti fatti è stato il consiglio migliore che Emin ha dato a me e a Maira, l'unica altra partecipante al tour. Mentre mangiamo un plov azero accompagnato da birra Xirdalan, questa bella ragazza brasiliana mi racconta che faceva l’assistente sociale nel suo Paese, ma a un certo punto si è accorta che non c’era speranza per la popolazione povera ed era così frustrata dal suo lavoro che ha deciso di trasferirsi a Tallinn, dove risiede tuttora. Di fronte al ristorante c'è il bellissimo edificio, fresco di restauri, che ospita il Museo della letteratura, dedicato alla vita e all'opera di Nizami Ganjavi (che l'Azerbaigian celebra come suo poeta nazionale anche se è vissuto in epoca medievale e scriveva in lingua persiana). A lui è intitolata anche la via dello shopping, che si incontra dopo aver superato il centro della vita sociale di Baku: piazza delle Fontane.
La città vecchia un tempo si affacciava direttamente sul mar Caspio, mentre oggi a separarla dal lago più grande del mondo c'è il Baku City Seaside National Park, una striscia lunga più di 25 chilometri che presenta aiuole, chioschi, bar, statue e naturalmente una bella passeggiata molto frequentata da turisti e residenti. Ecco, ai piedi della collina, il centro commerciale a forma di fiore e l'immancabile mini-Venezia, ecco di fronte allo yacht club la fontana dei cigni, ispirata ad uno dei poemi del solito Nizami. Nei giardini pubblici affollati di donne che ramazzano, molte foto d'epoca raccontano come appariva questo lungomare nel passato, un progetto fotografico racconta la straordinaria tolleranza di cui l'Azerbaigian si vanta in ogni dove, mentre la procura generale ci mette in guardia dai pericoli della droga. Superati la Government House e il circuito cittadino dove si svolge il gran premio di Formula 1, mi trovo ai piedi di alcuni neonati grattacieli, tra cui il Crescent hotel, un edificio in vetro a forma di mezzaluna.
Parallela al lungomare scorre una grande arteria che conduce al nuovissimo distretto Baku White City. Il nome di questo quartiere residenziale è altamente simbolico perché esso sorge in quella che un tempo era conosciuta come "città nera", sede delle industrie petrolifere del Paese. Nel 1991 Terzani la descriveva così: "Il cielo è sempre giallastro. L’aria puzzolente. La spiaggia è coperta di pompe in disuso, di ferraglia, di tubi rotti", e ancora quindici anni fa era un paesaggio desolato di pozzi petroliferi abbandonati tra cumuli di immondizia.
I giacimenti di petrolio e gas costituiscono la ricchezza principale del paese sin dalla notte dei tempi, infatti Marco Polo nel "Milione" descriveva una fontana, situata al confine tra la Grande Armenia e la Georgia, da dove sgorgava tanto olio "buono da ardere", molto apprezzato. Ancora oggi sul fianco della collina di Yanar Dag (la "montagna che brucia", 25 km circa a nord di Baku) il gas naturale che fuoriesce costantemente alimenta delle fiamme eterne che possono raggiungere i 3 metri di altezza, mentre presso il Tempio del Fuoco di Ateshgah, un luogo sacro della religione zoroastriana, un tempo ardeva un fuoco naturale (considerato un simbolo divino) che però nel 1969 si è estinto: oggi la fiamma viene propagata artificialmente a scopi turistici e molti visitatori la considerano una bella fregatura. A Baku già nel XV secolo il petrolio veniva utilizzato per l'illuminazione, nel 1848 venne effettuata la prima trivellazione di tutti i tempi e all'inizio del XX secolo c'era l'area petrolifera più grande del mondo.
Ai piedi dell'hotel JW Marriott Absheron prendo un Bolt che mi porta al Centro culturale Heydər Əliyev. Si tratta di un meraviglioso edificio bianco e sinuoso di quasi sessantamila metri quadri, progettato dall'archi-star iracheno-britannica Zaha Hadid e inaugurato nel 2012. Nell'ampio spazio di fronte all'ingresso tutto è di un candore accecante: sia le sculture contemporanee sia un gruppo di donne biancovestite protagoniste di uno shooting fotografico. Gli spazi espositivi di questo contenitore culturale all'avanguardia sono dedicati a variegati argomenti: archeologia, arte contemporanea, abiti uzbechi, bambole ecc.; di grande interesse la mostra di circa 50 modelli in scala di famosi edifici di Baku e del resto del Paese, tra i quali il distretto White city che non ero riuscita a vedere dal vivo. Due opere d'arte sono dedicate al nostro Heydər Əliyev, il primo segretario dell'Azerbaigian sovietico dal 1969 al 1982, poi presidente della Repubblica dall'ottobre 1993 all'ottobre 2003, nonché il motivo per cui molti azerbaigiani hanno lasciato il Paese.
Oltre all'aeroporto, al centro culturale e al viale su cui sorge, molte altre strutture pubbliche di Baku prendono il nome dal vecchio presidente: una sala concerti, una raffineria di petrolio, una moschea, uno stabilimento di acque profonde, un parco... senza contare piazze, strade, scuole, parchi e quant'altro anche nel resto del Paese e all'estero, e infine l'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. Quando alla fine del secolo scorso i giacimenti terrestri si esaurirono, infatti, si passò allo sfruttamento dei giacimenti del mar Caspio: il cosiddetto "Contratto del secolo" portò nel 2006 all'inaugurazione di questo oleodotto (definito il "capolavoro del Presidente"), che oggi si configura come il principale canale di esportazione del petrolio azerbaigiano all'estero, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Gli introiti hanno reso possibile la metamorfosi dell'Azerbaigian in una specie di sceiccato, ma nonostante i successi internazionali sul fronte interno il governo di Heydər Əliyev aveva cominciato a perdere popolarità, soprattutto a causa di brogli elettorali, corruzione e autoritarismo, finché dopo la sua morte il timone è passato nelle mani del figlio İlham.
Torno in centro a piedi percorrendo un lunghissimo viale specializzato nei negozi di ceramiche e incontro il Yaşıl Bazar, molto simile ai mercati coperti delle altre capitali ex-sovietiche, dove mi fanno assaggiare varie qualità di caviale. Poi cerco di approfondire la conoscenza diretta di alcuni luoghi di culto, visto che l'Azerbaigian si vanta di essere un Paese estremamente tollerante dal punto di vista religioso: visito due belle chiese russe ortodosse, ma non riesco ad entrare né nella sinagoga Dağ Yahudilərinin né nella Moschea Taza Pir. Delle chiese armene, alla faccia della tolleranza, non c'è traccia.
Infine ho la malsana idea di visitare il Museo nazionale dell'Azerbaigian che mi aveva raccomandato Emin: a parte la deludente esposizione, il problema principale è che i visitatori si contano sulle dita di una mano, mentre gli addetti alle sale sono innumerevoli e ti seguono in maniera imbarazzante dovunque vai. Solo in seguito mi rendo conto di aver frainteso il consiglio di Emin, che in realtà non mi aveva consigliato questa ciofeca, bensì il nuovissimo Museo di Arte Moderna progettato da Jean Nouvel.
Racconto di viaggio completo "AZERBAIGIAN: LA TERRA DEI FUOCHI"