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Nella stessa stanza con un pazzo che ha una pistola in mano

Il Museo Centrale Statale della Repubblica del Kazakistan di Almaty mi dà l'opportunità di ripassare tutto quello che ho imparato finora, a partire dalla sfarzosa sala centrale dove un video di promozione turistica mostra i luoghi più belli del Mangystau, di Turkestan e del montuoso sud-est. Nella sezione archeologica ritrovo l'immancabile "guerriero d'oro" del tumulo di Issyk, le raffinate opere di oreficeria e alcuni mausolei in scala ridotta, tra cui quello di Turkestan, mentre nelle sale dell'antropologia e dell'etnografia sono esposti diversi diorami dedicati alla cultura tradizionale e allo stile di vita nomade: sullo sfondo dell'arida steppa sono state ricostruite antichissime sepolture, pupazzi di maniscalchi, tessitrici e falconieri all'opera, cammelli e cavalli e le immancabili yurte. Grande risalto viene dato alla ricchezza mineraria del Kazakistan, che sin dai tempi antichi occupa uno dei primi posti al mondo in termini di quantità e diversità di risorse. Grazie ad esse oggi è lo Stato più ricco dell’Asia centrale, come vogliono dimostrare nella sezione "Kazakistan indipendente", dove – tra le altre cose – sono esposti dei modellini degli stabilimenti di estrazione petrolifera.
Infine c'è la "Hall of History", dedicata al Kazakistan multietnico. Sono più di cento le nazionalità presenti in questo Paese, conseguenza duratura del brutale regime di Stalin che fece deportare qui numerosi popoli come i coreani che vivevano nella Siberia Orientale, i tartari della penisola di Crimea, i ceceni e gli ingusci del Caucaso settentrionale, i tedeschi delle colonie del mar Nero e del Volga ecc. All’epoca infatti, dopo la spaventosa carestia e l’imposizione della collettivizzazione, il Kazakistan era spopolato e le sue sterminate pianure erano pressoché deserte. Secondo le stime, circa sei milioni di persone furono trasferite con la forza negli anni Trenta e Quaranta, circa un quarto delle quali morì durante il trasporto o nel primo periodo dell’esilio. A questi popoli dobbiamo naturalmente aggiungere gli ucraini, gli uzbechi (molto numerosi nella zona di Shymkent), gli uiguri (maggiormente presenti qui a oriente) e gli altri vicini di casa. Comunque, in questo padiglione sono allegramente esposti arredi, abiti, oggetti d'artigianato, documenti, fotografie ecc. caratteristici di 16 gruppi etnici in particolare.
Per quanto riguarda i russi, invece, erano quasi il 40% nel 1989, grosso modo la stessa percentuale dei kazaki; questi ultimi oggi sono diventati il 70%, con i russi scesi al 15% circa, tra l’altro maggiormente concentrati nelle regioni settentrionali. A parte i numerosi trasferimenti avvenuti dopo l’indipendenza, l’aumento in percentuale degli autoctoni è dovuto anche all’indice di fecondità più alto tra la popolazione kazaka, che è più conservatrice. Oggi il Kazakistan conta quasi venti milioni di abitanti, pochissimi in un territorio così vasto, ma da alcuni anni in aumento grazie appunto al fatto che ogni donna fa mediamente più di 3 figli. Un dato che lo differenzia dalla Russia, dove la fecondità non raggiunge il livello di riproduzione, e un altro segnale del fatto che i russi sono sempre meno "padroni".

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La sera, al termine del concerto, mi sono messa a chiacchierare con i membri del gruppo sulla terrazza di questo bellissimo jazz club. "Ti è piaciuto il concerto?" mi chiede il contrabbassista. "Molto" rispondo sinceramente io, che avevo gradito sia la musica sia il locale con i tipici tavolini, le luci soffuse e anche una discreta cucina. "Peccato che c'era poca gente". "È così tutte le sere, specialmente in settimana" mi risponde, "d’altra parte il club di Almaty è stato aperto solo dopo l'invasione criminale dell'Ucraina, quando una parte del personale della sede di Ekaterinburg ha deciso di lasciare la Russia. E anche noi musicisti, come vedi". “La sede russa va molto bene, quindi non gli interessa granché avere tanti clienti qui" aggiunge la cantante, che invece è di Almaty, "e in quanto a me, devo pure ringraziare Putin per aver iniziato la guerra! Prima ero disoccupata, mentre ora lavoro qui molte sere a settimana. L'inflazione è alle stelle: Mosca un tempo per noi era una città carissima, invece oggi è diventata più costosa Almaty. Però abbiamo gli stipendi che equivalgono a un terzo di quelli russi. La crisi è forte, ma noi resistiamo.”

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L'ultimo giorno partecipo alla più tipica delle escursioni nei dintorni di Almaty, che prevede la visita a canyon e laghi situati vicino al confine con il Kirghizistan, circondati da montagne ammantate di splendide foreste. La guida – a parte la fissazione di scattarci decine di foto per uno nei punti panoramici – parla un ottimo inglese perché ha vissuto negli Stati Uniti e viene a lungo interrogato su vari temi. Per quanto riguarda l’attualità, ci informa che hanno accolto molti russi e ucraini che scappano dalla guerra, “ma non quelli con la Z”. Rispondendo alla domanda di un norvegese che era nel tour, aggiunge: “Naturalmente siamo dalla parte degli ucraini, perché anche noi vorremmo tanto liberarci dal controllo russo, ma per il momento la vedo difficile, visti i rapporti commerciali e il lunghissimo confine”. Infatti nessun altro paese condivide un confine così lungo con la Russia (quasi 7000 chilometri), e inoltre in nessun altro paese centroasiatico vivono così tanti russi. Mi vengono in mente le parole di Azamat Junisbai, professore di sociologia in un college californiano, ma di origine kazaka, che ha scritto che essere vicini della Russia è come trovarsi in una stanza con un pazzo che ha una pistola in mano: “You try to make yourself as inconspicuous as possible and hope he doesn’t notice you”. Devi fare il possibile per non farti notare.
L’ultima tappa del tour è il Charyn canyon, splendidamente colorato di arancione al tramonto. Quando il sole scompare sono appena le sette e mezza, ben due ore in meno rispetto ad Aktau (da dove ho cominciato il viaggio), situata nell’estremo occidente del Paese che ora, dopo due settimane, mi appresto a lasciare (stanotte ho un volo per Baku). "Questa idea di un unico fuso orario per un Paese grande come il nostro è una vera stronzata!" eccepisce la guida.

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Concluderò con le parole – oserei dire: definitive – del suddetto prof. Junisbai, che sintetizzano in maniera eccellente una serie di insegnamenti e di riflessioni che mi hanno accompagnato nelle due settimane in cui attraversavo il Kazakistan meridionale: "Per i kazaki, il lungo dominio coloniale della Russia ha prodotto una lista di orrori difficile da eguagliare. Una carestia provocata dall'uomo che ha ucciso circa il 40% della popolazione. Una distruzione totale dell'intellighenzia. E 456 (!) test nucleari.
Il programma scolastico sovietico ci ha insegnato che il colonialismo era perpetrato solo da malvagie potenze europee su persone in terre lontane; e che il mio paese, l'URSS, che copre 1/6 della superficie terrestre, era invece un amico leale dei popoli colonizzati.
La propaganda che ha reso invisibili al mondo esterno sia la brutale colonizzazione sia gli stessi colonizzati, è forse il maggior successo della Russia. Questa invisibilità fornisce ancora oggi copertura alle atrocità russe e deve essere interrotta..."

Racconto di viaggio completo: "ESPOSIZIONE UNIVERSALE. Viaggio in Kazakistan meridionale"