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Il primo presidente e il nonno delle mele

Almaty, la città più popolosa del Paese, in russo si chiama Alma-Ata, che dovrebbe significare il “nonno (o padre) delle mele", per sottolineare che le mele selvatiche hanno avuto origine da queste parti. La città è situata ai piedi dell’estrema propaggine settentrionale della catena del Tian Shan: le montagne innevate che le fanno da sfondo, nelle giornate di cielo sereno, regalano un fascino speciale a questa Torino kazaka.
Una ragazza autoctona incontrata sull’autobus mi informa in italiano perfetto che fino al 1997 era la capitale del Kazakistan. “Se non sbaglio la nuova capitale Astana per un periodo è stata chiamata Nursultan…” dico io, che lo avevo letto sul libro di geografia. Lei ride di gusto: “Sì, Nazarbaev decise, con l’umiltà che lo contraddistingueva, di chiamarla con il proprio nome di battesimo, ma tre anni dopo il parlamento ha votato in modo compatto per tornare al precedente nome”. Per contestualizzare i fatti, il cambio di nome avvenne nel 2019, quando – incalzato da una serie di proteste anti-governative – il presidente, dopo quasi trent’anni di governo, si decise finalmente a dimettersi; tuttavia fu una semplice operazione di facciata, perché in realtà continuò a mantenere un’enorme influenza (per esempio, era a capo del potente Consiglio di sicurezza nazionale). Soltanto a gennaio 2022, dopo altri gravi disordini, il suo sostituto Tokayev ha dato avvio ad una vera e propria opera di "de-nazarbaevizzazione": molte vie, edifici e istituzioni intitolati all’ex presidente hanno ripreso il loro nome originale, alcune sue statue sono sparite e soprattutto sono stati revocati tutti gli incarichi, i privilegi e le immunità che ancora aveva.
A Zhanaozen, nel Mangystau, ebbero luogo sia i già citati disordini del 1989 sia il massacro dei manifestanti del Giorno dell'Indipendenza, nel dicembre 2011. Sempre qui, dopo un improvviso aumento dei prezzi del GPL, iniziarono pacificamente le proteste di massa del gennaio 2022, che si diffusero poi rapidamente in altre città del paese. In particolare ad Almaty le manifestazioni si trasformarono in rivolte violente, alimentate dal malcontento nei confronti del governo e dell'oligarchia nazionale, nonché della corruzione e della disuguaglianza economica. Il presidente Tokayev dichiarò lo stato di emergenza e richiese l’intervento dell’alleanza militare regionale guidata dalla Russia, parlando di “aggressione terrorista” di ispirazione straniera o addirittura di un tentativo di colpo di stato. Putin giustificò l'intervento come uno sforzo concertato per proteggere gli alleati kazaki da quelle che ebbe a definire, siccome suole, ”rivoluzioni colorate”: il rovesciamento del regime amico non sarebbe stato un bell’esempio per i russi! Dopo più di duecento vittime e migliaia di arresti, Tokayev volle dimostrare di aver preso in carico le richieste, per cui sospese l’aumento del prezzo del carburante e sciolse il governo (oltre alle suddette azioni contro Nazarbaev). Però poi qualche mese dopo inaugurò il memoriale di Tagzym con un discorso retorico del tutto in linea con l'opinabile narrazione putiniana. Il monumento alle vittime dei disordini sorge nella scenografica piazza della Repubblica, in un giardino situato accanto al palazzo del sindaco (che all'epoca degli eventi venne vandalizzato), e di fronte all’imponente obelisco in onore dell'indipendenza, sulla cui sommità si erge una statua del già citato “guerriero dorato”.
Girando l’angolo si incontra un'altra opera celebrativa dedicata a un evento simbolo della lotta per l'indipendenza del Kazakistan, la "rivolta di dicembre" (Zheltoksan), che ebbe luogo nel 1986 dopo che Gorbaciov ebbe licenziato il segretario del Partito Kunaev, di etnia kazaka, per sostituirlo con Kolbin, che non solo era di etnia russa ma non aveva mai vissuto o lavorato in Kazakistan. La manifestazione degenerò e scoppiarono scontri fra i dimostranti e la polizia; molte persone furono uccise dall’esercito e dalle forze speciali, migliaia furono arrestate. Coloro che protestavano non avevano nessuna intenzione di staccarsi dall’Unione Sovietica, gli bastava avere un segretario kazako e poco dopo furono accontentati: iniziò così la lunga carriera di Nursultan Nazarbaev – che tra parentesi non era certo schierato con i manifestanti. Tra l'altro, secondo le memorie di Gorbaciov, la nomina di Kolbin era stata proposta dallo stesso Kunaev proprio per fermare l'avanzamento del nostro NN.
Almaty è una bella città piena di verde, che percorro volentieri a piedi visto che fortunatamente le temperature sono molto piacevoli in questi giorni. Per le lunghe distanze ci sono gli autobus, ben segnalati sulle mappe online, e anche una linea di metropolitana. Al centro del Parco delle 28 Guardie Panfilov si erge la coloratissima cattedrale ortodossa dell’Ascensione; a un isolato di distanza spicca l’imponente moschea centrale di Almaty: oggi circa il settanta per cento della popolazione kazaka è musulmana, ma i governi si sono adoperati per diffonderne una versione laica. I partiti politici religiosi sono vietati e i gruppi religiosi vengono tenuti sotto sorveglianza, infatti come in tutti i Paesi dell’Asia centrale è diffuso il timore dell’affermazione di movimenti islamici più rigidi e fondamentalisti e la minaccia del terrorismo è notevolmente propagandata: “Pure io ho questo pregiudizio, sai la barba ecc. Non puoi farne a meno…” mi ha detto un kazako di etnia russa. E infatti nella trafficata via pedonale Zhibek Zholy viene proiettato sul maxischermo un video dedicato al lavoro di una squadra anti-terrorismo alle prese con un pacco-bomba. Visito anche il green bazar, il Museo d'arte statale Abilkhan Kasteev, il giardino botanico e infine il più periferico parco del primo presidente, costruito su un vasto terreno dove un tempo si trovavano dei meleti. C'è un ingresso monumentale, diverse sculture a forma di mela, una fontana, dei chioschi e ovviamente tanti alberi e panchine. Il nostro NN, al quale il parco è intitolato, è celebrato con una statua realizzata in marmo, bronzo e granito che lo ritrae seduto tra due ali che rappresentano le città principali del Paese: Almaty e Astana. Non solo la statua è ancora al suo posto, ma la gente si mette in fila per fotografarsi insieme a lui. Devo dunque dedurre che l’ex dittatore continua ad essere amato, nonostante le violazioni dei diritti umani, il dissenso represso, le elezioni non libere, il culto della personalità, il controllo dei media, nonché la corruzione e il nepotismo che hanno caratterizzato il suo governo. E nonostante il fatto che, come abbiamo visto, sia recentemente caduto in disgrazia.
La sera sono seduta a un tavolo all'aperto di questo grande e ambizioso ristorante specializzato in piatti di carne. Vicino a me è seduta la proprietaria, a cui alcuni membri dello staff stanno cerimoniosamente proponendo le nuove salse: quella al pepe e quella ai funghi le fanno assaggiare pure a me. Sta piovendo da un bel po' e non accenna a smettere. Inoltre c'è un vento molto forte, le temperature sono precipitate e io indosso una maglietta leggera e non ho nemmeno l'ombrello. Nell'attesa che la situazione migliori ordino un'altra birra e nel frattempo esce questo tizio a fumarsi una sigaretta. Quando scopre la mia provenienza, mi dice in italiano che ha studiato a Siena, è di Almaty e parla russo (cosa che avevo capito dai suoi lineamenti). Approfitto per chiedergli com'è la situazione politica. "Be', non c'è una vera e propria censura su quello che si dice, ad esempio a scuola; il controllo è attuato più tramite la propaganda religiosa, quindi fare più figli, non bere alcol, insomma così la società è più tranquilla e c'è meno criminalità." E per quanto riguarda le varie etnie? "Russi e kazaki si riconoscono subito, però non c'è razzismo tra di noi. Io ad esempio non parlo bene kazako, mentre i kazaki il russo spesso lo capiscono perché lo hanno studiato a scuola. Ancora oggi, se studi ingegneria o medicina non puoi non sapere il russo." Per essere precisi, il russo lo parlano i kazaki di una certa età e i ceti più colti, mentre i giovani e le persone di campagna in genere parlano solo la lingua nazionale. La lingua kazaka viene trascritta con tre alfabeti: latino, cirillico e arabo. Attualmente sono ancora utilizzati i caratteri cirillici, ma avevo letto che entro il 2025 è prevista la transizione verso l'alfabeto latino. Secondo Ivan è un'assurdità "perché pochi sanno l'inglese, e comunque ci sarebbero problemi molto più importanti da risolvere, invece di queste scemenze". Nel 2017, il nostro NN descrisse il ventesimo secolo come un periodo in cui "la lingua e la cultura kazaka sono state devastate" e infatti molto si sta facendo per ridargli importanza. Però, come in tutte le repubbliche dell'Asia centrale, ogni decisione che rafforza la propria lingua nazionale è un colpo al cuore per Putin. Le lingue di questi stati infatti sono di origine turca e non slava come il russo o l'ucraino: ogni abitante di questa regione che non parla più russo rappresenta un ulteriore passo nel cammino che li allontana dalla Russia, non solo dal punto di vista culturale ma anche politico, visto che non sarà più capace di capire i programmi della TV russa, nonché i giornali e i siti internet. Nel novembre 2023 Tokayev, mentre accoglieva una delegazione russa guidata dallo stesso Putin, ha cominciato il suo discorso in kazaco prima di passare al russo: una mossa davvero inaspettata, che nessuno ha capito se era rivolta più ai funzionari russi o più al popolo kazako.

Racconto di viaggio completo: "ESPOSIZIONE UNIVERSALE. Viaggio in Kazakistan meridionale"