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Hel is other people

Eccomi di nuovo a Danzica, tre anni dopo. Ecco la Via Lunga, con tutte le facciate dipinte allineate come soldatini impettiti, sormontate da frontoni anseatici uno diverso dall'altro. Ecco il Lungo Mercato e la fontana Nettuno, ecco la chiesa più grande di tutta la Polonia. Ecco i venditori di gioielli di ambra e quelli di girasoli, frutti di bosco e cetrioli in salamoia. E poi le tante porte di ingresso al centro storico e il solito stupore nel pensare che quasi tutta la città è stata distrutta dai tedeschi e ricostruita dai comunisti.
Di nuovo passeggio sul lungofiume affollato di turisti, salutando la nera gru di Danzica che, fatto un passo avanti nella fila degli edifici colorati, si sporge come allora su quel ramo del delta della Vistola. Ed eccolo qui uno dei velieri su cui quell'altra estate mi imbarcai per raggiungere i cantieri navali e la penisola di Westerplatte, il luogo dove iniziò la seconda guerra mondiale.
Mi ricordo molto bene la stazione centrale, rossa di mattoncini e appoggiata alla torre dell'orologio, dove è sempre vivo il contrasto stridente tra la bellezza architettonica della struttura e l'odiosità del personale che ci lavora. E soprattutto mi ricordo il museo di Solidarnosc, dove la Polonia comunista e il movimento di Lech Wałęsa vengono rappresentati per mezzo di allestimenti di grande impatto multimedial-emotivo (con la stessa filosofia sono stati realizzati il Museo dell'insurrezione di Varsavia e quello dell'occupazione nazista di Cracovia).
Dopo mezz'ora di mio personalissimo déjà vu, le zie sono pronte per andare a cena e festeggiare l'incontro in un romantico ristorante sul lungofiume, con le lucine e i fiorellini. Il servizio è di una lentezza tipicamente nord-polacca, per cui abbiamo tutto il tempo di ubriacarci con la birra scura nell'attesa del pesce del Baltico impanato e dell'anatra con salsa di ribes.

La nostra meta per l'indomani è la Penisola di Hel, che chiude il pezzo occidentale del golfo di Danzica. Avevo grandi aspettative su questa località, che mi immaginavo simile alla penisola di Neringa, in Lituania (enormi dune spazzate dal vento, odorosi pini marittimi e casette restaurate di tutti i colori). Le zie avevano già organizzato l'itinerario per raggiungerla: avremmo preso prima un treno per Sopot e poi da lì il traghetto per Hel; giunte a destinazione, avevamo intenzione di affittare le biciclette e raggiungere il punto più stretto della penisola, dove è possibile vedere il mare da entrambi i lati.
A Sopot è ancora molto presto sia per lo struscio sia per la vita di spiaggia. La luce è nitidissima e l'atmosfera baltica elegante di grand hotel e casino, moli e gabbiani. La casa storta, che è la prima cosa che appare su Google immagini se digiti Sopot, in realtà è un caffè e inizialmente stentiamo a riconoscerla, perché sul marciapiede sono piazzati gli ombrelloni del bar e un albero molto rigoglioso ne copre una grossa parte (invece le foto su Google immagini sono tutte state scattate in inverno, quando l'albero è spoglio e gli ombrelloni non ci stanno). La traversata in traghetto è lunga ma piacevole; la giornata è bella e soleggiata.
Hel si rivela subito molto gelosa del suo ufficio del turismo, per cui non riusciamo in nessun modo ad ottenere una mappa della penisola. Le strade sono già iperaffollate e la spiaggia è un carnaio. Per puro caso incontriamo un tizio in canottiera che ci affitta le bici, ma non parla inglese (contrattiamo a gesti). In ogni caso, partiamo. Solo per trovare la pista ciclabile, dobbiamo fermare tre o quattro persone diverse. La pista inizialmente sembra semplice, piana e asfaltata, ma poi diventa un alternarsi affaticante di salite e discese nella pineta, con la complicazione della sabbia (tanto più che ci hanno rifilato delle vere chiaviche di biciclette). Nessun cartello ci informa di dove siamo e quanto cavolo ci vuole ad arrivare da qualunque parte. Gli interpellati scuotono le mani come se la nostra richiesta di informazioni gli rubasse un pezzo di anima. Dopo diversi vaffanculo postumi, torniamo indietro deluse, rivolgendo anche un pensiero poco amichevole all'impiegata dell'ufficio del turismo che aveva sconsigliato di affittare un'auto a causa delle strade strette e trafficate. Come se non bastasse, il traghetto di ritorno è già pieno, così siamo costrette a un lunghissimo viaggio in treno (che almeno ci consente di guardare − seppur di sfuggita − tutto quel pezzo di penisola dove non siamo mai riuscite ad arrivare in bicicletta).
D'altra parte, come mi ribadirà il giorno dopo il ragazzo che affitta le bici a Toruń, manca solo una semplice elle per trasformare Hel in un inferno. «Ci avevi fatto caso?» Mi chiede. «Tak (sì)».

Racconto di viaggio "1500 chilometri di pianura. Itinerario estivo in Polonia" 

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