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Gomito a gomito con il mar Baltico

Nell'impresa mi ero cacciata con le mie stesse mani. Quattro settimane gomito a gomito con due leggendarie entità per me quasi del tutto sconosciute: il Mar Baltico e Marcello. Col primo ci avevo avuto a che fare di persona una sola volta, a Travemünde, località balneare nei pressi di Lubecca (location di un tramonto davvero degno di nota). Il secondo invece lo avevo incontrato due volte, tre con quella sera in cui decidemmo di partire insieme, pacchetto completo: Paesi Baltici e Berlino (sapevamo che in mezzo ci fosse la Polonia, ma avevamo inconsapevolmente minimizzato l'estensione del suo affaccio baltico, forse perché entrambi ossessionati dal trattato di Versailles).
L'Estonia, la Lettonia e la Lituania vengono usualmente propinate all'opinione pubblica come un tutt'uno, a causa delle svariate somiglianze che presentano: la collocazione geografica, la ridotta estensione, il territorio pianeggiante, la ricchezza di foreste e di acqua, il pluriennale inglobamento forzato nell'URSS, l'indipendenza ottenuta nel 1991, il recente ingresso nell'UE, l'impetuoso addentrarsi nel luccicante mondo del capitalismo. Tutto questo e molto altro − in particolare la singolare bellezza delle donne e il primato europeo in quanto ad incidenti stradali − ha fatalmente trasformato tre Stati autonomi e differenti tra loro in un concetto geografico semplificatorio: le Repubbliche Baltiche (concetto che abbiamo provato a scardinare il più possibile durante tutto questo peregrinare su autobus-sauna privi di finestre e treni nuovi di zecca acquistati grazie ai fondi europei).

Ma iniziamo dal principio. La "piccola Estonia" non gode di eccessiva popolarità: non solo ha una posizione alquanto defilata nella carta europea, ma è così minuscola che sembra quasi che la Finlandia − e anzi la Scandinavia intera − le possa cadere addosso da un momento all'altro distruggendola per sempre. La lingua inoltre è caratterizzata da un vocabolario traboccante di termini ugro-finnici impronunciabili e, come se non bastasse, ci abitano appena un milione e trecentomila abitanti, i quali hanno l'incomprensibile usanza di non emigrare.
Il nostro itinerario è incominciato da Tartu, la seconda città più grande del Paese, nota per la sua università presente sin dal 1632. Il tassista Sergei, ex alcolizzato, ex russo ed ex ballerino (cosa quest'ultima che sembrerebbe incredibile oggi a giudicare dalle dimensioni della sua pancia), ci ragguaglia immediatamente in merito al caldo davvero inusuale che sta imperversando in questo luglio nordico. Non è ancora completamente buio quando alle 23 e trenta ci rechiamo in un pub gotico per mangiare un pancake (nella cui preparazione gli estoni sono degli specialisti), invece alle 2 e mezza circa già comincia vagamente ad albeggiare.
Di giorno (stemperato il tasso alcolico) il centro, nonostante i turisti e gli studenti che affollano i tavolini all'aperto, è tanto placido e silenzioso che si può distintamente sentire il rumore dei tacchi sull'acciottolato, mentre si passeggia tra vasi fioriti, carrelli dei gelatai, targhe che commemorano i trascorsi di teologi e filosofi illustri. Nella piazza principale l'effetto torta nuziale è assicurato dal municipio rosa confetto, dagli stucchi bianchi e dalla fontana scura che rappresenta due fidanzatini che si baciano perennemente sotto un ombrello grondante. La città è attraversata da un fiume, molto ambito in questi giorni di gran caldo nonostante il suo colore rancido, ed è molto piacevole da visitare in bicicletta perché le strade hanno poca pendenza (tranne nell'impervia parte centrale, occupata dalla collina della cattedrale).

Racconto di viaggio "GOMITO A GOMITO CON IL MAR BALTICO"

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