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Le due facce di Timişoara

Prendo posto sul sedile acrilico tipico dei treni. Vicino alla finestra fa molto caldo, così lascio i miei cruciverba ermetici e vado a comprare apa minerale, rece (fresca). Al bar dell'ultima carrozza c'è Damian che mi serve. I grossi porri che ha sul naso e sulla guancia sussultano quando scopre che sono italiana. Mi chiede subito che ci faccio là, con accento napoletano. «Ma dove vivevi in Italia?» gli chiedo come al solito divertita nello scoprire con quanti accenti differenti si può imparare l'italiano. «Stavo a Casal di Principe» mi risponde. Non sono sicura di voler sapere cosa faceva precisamente lì e infatti lui resta sul vago. Oltretutto sono passati un po' di anni e ha bisogno di riprendere familiarità con la nostra lingua. Damian mi invita ad entrare nel retro del bar, dove si può fumare liberamente. Ci raggiungono i due controllori baffuti che, come molti rumeni che ho conosciuto, hanno inizialmente un'espressione seria e severa, apparentemente poco propensa alla socializzazione, ma dopo pochi minuti dimostrano la loro cordialità. E così, ridendo e scherzando, sfogliando la mia guida della Romania e bevendo gratis bibite ghiacciate, passano le tre ore e mezza necessarie per raggiungere Timişoara. E intanto Damian mi racconta alcuni aneddoti dell'Italia, perlopiù incomprensibili, e poi del suo attuale lavoro tra Bucarest e Timişoara (e tra Timişoara e Bucarest), retribuito con uno stipendio di circa 100 euro al mese, mentre i suoi colleghi ne prendono ben 400. Uno di loro mi regala un accendino. L'altro va a controllare se la mia valigia è ancora al suo posto. «C'è» comunica sorridendo quando torna. «Qua, a parte questi due, non ruba nisciun» chiosa Damian in napoletano.

Arrivata a Timişoara, deposito il bagaglio nel primo hotel che trovo e vado alla scoperta di quella che da qualche anno viene definita l'ottava provincia veneta (già dal finestrino avevo notato i molti capannoni gialli, blu, rossi che circondano la città). Il centro è grazioso: si susseguono tre piazze molto curate e numerose aree verdi, c'è una bella cattedrale circondata da stormi di uccelli e un'incredibile quantità di bar e ristoranti affollati di gente. Damian non può permettersi di prendere nemmeno un caffè nel frizzante centro di Timişoara, dove soltanto i business men in giacca e cravatta e i pochi turisti stranieri mangiano e bevono a prezzi esigui in rapporto ai loro portafogli. Per questo Damian, anche se trascorre una buona parte delle sue notti in questa città, non osa avventurarsi in queste piazze e vie: le nostre strade si dividono.
Mi accomodo in questo ristorante centralissimo dotato di tavoli all'aperto; mentre consulto il menu, una voce familiare mi fa alzare lo sguardo: «Auè! Bevitela tu la 'bbììr!» Al tavolo accanto al mio un laido barese con il doppio mento, i capelli lunghi, unti e brizzolati e la camicia aperta sul petto sta riferendo al cameriere che ha sbagliato l'ordinazione, perché lui la birra non l'ha chiesta. Il cameriere è mortificato: non sa che questa insolenza non è un trattamento di riguardo a lui riservato, bensì contraddistingue molti miei concittadini nel loro rapporto con i camerieri di ogni latitudine. Di fronte all'uomo d'affari è seduta una donna: è una rumena bella anche se non giovane, truccata e adornata con i gioielli che lui le ha regalato. Lui le sta enumerando le sue proprietà: è lungo l'elenco delle cose che ha. Snocciola numeri serio, mentre lei lo guarda con il mento sul palmo della mano: ha gli occhi sognanti ma non sorride. Nonostante la proposta sia allettante, lei resiste. Nonostante l'ammirazione per quest'uomo capace di trattare i camerieri in modo così determinato e virile, non se la sente di lasciare tutto e seguirlo in quella città dell'Italia meridionale. Nonostante la vaga speranza, un giorno, di rivolgersi anche lei in questo modo ai camerieri di ogni latitudine, c'è ancora, per fortuna, qualcosa che la frena.

Racconto di viaggio "FRUMOASĂ ROMÂNIA?" 

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