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Il degrado di Belgrado

Uno dei primi monumenti che ho potuto ammirare nel centro di Belgrado è l'hotel Moskva, un gioiello architettonico di inizio Novecento che mi ha creato grandi aspettative – tutte in breve tempo deluse. È da qui che partiamo per un free walking tour guidato da Nikola, un ragazzone di circa trent'anni. Subito ci parla della famosa manifestazione del 5 ottobre del 2000, quando decine di migliaia di persone assediarono il parlamento per chiedere un cambiamento democratico, che poi effettivamente ci fu in quanto cadde il regime di Milošević. Poco dopo, però, lo stesso incoerente Nikola afferma con grande convinzione che le proteste di piazza non servono a niente – così come le elezioni, d'altra parte, infatti lui sono anni che non va a votare. Avevo notato già a Novi Sad, e anche qui a Belgrado, i muri e le strade tappezzati con la scritta "boycott 02.06.2024", la data in cui si sono tenute le ultime elezioni municipali, vinte – non senza irregolarità, abusi mediatici e perfino scontri – dai populisti del Partito progressista guidato dall'attuale presidente Aleksandar Vučić. 
Il nostro Nikola si è guardato bene dal dirci che negli ultimi anni i serbi sono scesi in piazza molte volte, non di rado ottenendo benefici tangibili. Ma soprattutto non sapeva ancora che alcuni mesi dopo nelle principali città della Serbia un imponente numero di studenti e cittadini avrebbe manifestato per giorni contro la corruzione e la mancanza di trasparenza del governo, in seguito alla tragedia del crollo della tettoia della stazione di Novi Sad (da poco rinnovata da un consorzio di aziende cinesi). Cosa avrebbe detto Nikola se avesse saputo che a causa delle proteste sia il premier Vucevic (ex sindaco di Novi Sad), sia l'attuale primo cittadino della seconda città serba si sono dimessi? Probabilmente avrebbe attinto a piene mani dagli argomenti della guerra ibrida russa, sostenendo che queste manifestazioni sono orchestrate dagli americani o da Soros, invece di gioire per il fatto che la società civile serba non tollera più un governo sempre più autoritario, chiedendo a gran voce (come sta accadendo in Georgia, Moldavia, Slovacchia) il ripristino dello stato di diritto. 
In ogni caso, procediamo fino alla chiesa di San Marco e ci inoltriamo nei giardini dove sorge il monumento ai bambini uccisi nell'aggressione della NATO: davanti a un angioletto di pietra Nikola ci parla dei bombardamenti decretati dalla cosiddetta Operazione Allied Force, che durarono due mesi e alla fine costrinsero il presidente Milosevic ad accettare un accordo di pace. I danni subiti dalla Serbia e dal Kosovo furono ingenti, ci dice Nikola, anche a causa dell’uso di proiettili all’uranio impoverito da parte delle truppe statunitensi. Sono passati 25 anni e la ferita è ancora aperta, come dimostrano sia le accuse contro la NATO che appaiono ovunque sui muri della città sia la scelta di lasciare alcuni degli edifici bombardati così com'erano, senza ancora provvedere ad un restauro. Accanto ai bombed buildings (segnalati sulla cartina in mio possesso tra i monumenti consigliati ai turisti) compare un gigantesco manifesto che invita ad arruolarsi nell’esercito serbo. 
L'ultima tappa del tour è il tempio di San Sava, una sfacciata e sfarzosa imitazione di Hagia Sophia, consacrato nel 2000 e dedicato a un santo molto popolare all'epoca degli ottomani. Per il resto, durante la passeggiata sono estremamente colpita dai palazzi di cemento lasciati in balia degli eventi, dalla puzza di urina che ristagna nei sordidi sottopassaggi (rifugio prediletto da venditori di calzini e girasoli), dalle insegne scolorite risalenti ai tempi della Yugoslavia. Nella centralissima piazza della Repubblica, lungo il cornicione di uno dei suddetti palazzi, c’è scritto a grandi lettere nere su bianco, in inglese, che l’unico genocidio nei Balcani lo hanno subito i serbi. Inoltre numerosi murales in giallo e blu sostengono che il Kosovo appartiene alla Serbia, e infatti anche Nikola con un malcelato livore ci aveva mostrato una cartina con tutte le chiese ortodosse serbe presenti ancora oggi nel territorio kosovaro. Tuttavia, ci sono parole più preoccupanti sui muri della Serbia: sono quelle inneggianti a Ratko Mladic, il criminale di guerra responsabile della strage di Srebrenica, considerato un eroe. Infine, mi ha sorpreso notare l'anacronistica esistenza di una via dedicata a Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo del 1914, a pochi passi dal mio alloggio.
Il quartiere più tipico di Belgrado si chiama Skadarlija ed è consigliatissimo da tutti per il suo spirito bohémien. Purtroppo di sabato sera le celebri trattorie tipiche dove suonano musica tradizionale sono tutte stracolme, così sono costretta a mandare indietro un immangiabile piatto che mi è stato servito in una trappola per turisti. Nei weekend molti locali offrono musica dal vivo, i serbi sono forse tra i popoli più belli d’Europa e inoltre parlano quasi tutti un inglese decente, ma non è per niente facile socializzare. Non si può dire la stessa cosa dei due turchi che alloggiano nel mio b&b, che ho conosciuto al tavolo della colazione. Quando torno la sera, li trovo completamente sbronzi, seduti allo stesso tavolo dove li avevo lasciati la mattina. Dopo aver aperto con una certa difficoltà la terza bottiglia di vino, insistono tantissimo affinché anch'io ne beva un bicchiere con loro. Poi arriva un rider che gli consegna dei kebab, uno dei due turchi scivola per terra (per l'esattezza, quello che prima inveiva contro Erdogan) e io me ne vado a dormire riflettendo sulla loro triste situazione: poiché devono seguire lunghe trafile per avere il visto d'ingresso in Unione Europea, devono accontentarsi di Paesi come la Serbia per trascorrere qualche giorno di vacanza.

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