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«Mi ha chiesto se sono prudente all’interno della mia comunità. Ho mantenuto il silenzio sulle mie opinioni, tranne che con mio fratello e con quei due sconosciuti dal Portogallo che cercavano il mio consiglio. In effetti li ho visti qualche ora fa e, nello sforzo di essere d’aiuto a uno di loro, che afferma di vivere una crisi spirituale, non mi sono trattenuto dall’esprimere le mie opinioni sui credi superstiziosi. Con quei due visitatori mi sono impegnato in una lettura critica della Bibbia ebraica. Da quando ho aperto la mia mente con loro, sperimento quella che lei ha chiamato armonia interiore».
«Dà l’impressione di essersi tenuto a freno a lungo».
«Non abbastanza per la mia famiglia, e nemmeno per il mio rabbino, che è assolutamente scontento di me. Ho il profondo desiderio di una comunità che non sia schiava di false credenze».
«Può cercare in tutto il mondo, ma non troverà una sola comunità che non sia superstiziosa. Fino a quando ci sarà l’ignoranza, ci sarà la devozione per la superstizione. Dissipare l’ignoranza è l’unica soluzione. E per questo che insegno».
«Temo sia una battaglia persa» replicò Bento. «L’ignoranza e le credenze superstiziose si diffondono come incendi inestinguibili e credo che le autorità religiose alimentino il fuoco per rendere più solide le loro posizioni».
«Parole pericolose, queste. Parole che alla sua età non dovrebbe dire. Di nuovo le ripeto che la prudenza è necessaria per continuare a far parte di una qualsiasi comunità».
«Sono persuaso di dover essere libero. Se una comunità del genere non può essere trovata, allora forse dovrò vivere senza».
«Ricordi quello che ho detto riguardo a caute. Se non sarà cauto, è possibile che i suoi desideri, e forse le sue paure, si avverino».
«Sono già ben al di là del “possibile”. Credo infatti di aver già dato inizio al processo» dichiarò Bento.

Dopo aver frugato nella tasca del soprabito, Alfred tirò fuori il Trattato teologico–politico di Spinoza. «Un lungo viaggio è stata l’occasione ideale per una lettura del genere». Sollevò il libro verso Friedrich. «L’ho finito sul treno. Hai avuto proprio ragione a suggerirmelo».
«Sono colpito, Alfred. Tu sei proprio uno studioso. Non ce ne sono molti come te in giro. A parte i filosofi di professione, pochi leggono Spinoza dopo il periodo universitario. Avrei pensato che ora, con la tua nuova professione e tutti gli avvenimenti rovinosi in Europa, ti fossi del tutto dimenticato del vecchio Benedictus. Dimmi, che impressione ti ha fatto questo libro?»
«Lucido, coraggioso, intelligente. È una critica devastante al giudaismo e al cristianesimo… o, come direbbe il mio amico Hitler, all“‘intero raggiro religioso”. Naturalmente sono un po’ critico verso le opinioni politiche di Spinoza. Non c’è dubbio che sia ingenuo nel suo sostegno alla democrazia e alla libertà individuale. Guarda solo dove ci hanno portato queste idee oggi in Germania. Sembra quasi propugnare un sistema all’americana, e sappiamo tutti dove sta andando a finire l’America: al disastro di un paese di mezzosangue, pieno di meticci».
Alfred fece una pausa, ed entrambi gli uomini gustarono gli ultimi bocconi di Linzer Torte, un vero lusso in quei tempi di miseria.
«Ma dimmi qualcosa in più dell’Etica» continuò. «Quello fu il libro che offrì a Goethe tanta tranquillità e occasioni di comprensione, il libro che si portò in tasca per un anno. Ricordi che ti eri offerto di essere la mia guida, di aiutarmi a imparare a leggerlo?»
«Lo ricordo, e l’offerta vale ancora. Spero solo di essere all’altezza, perché nel frattempo mi sono riempito la mente dei pensieri grandi e piccoli della mia professione. Non ho più pensato a Spinoza dopo quella volta con te. Da dove cominciare?» Friedrich chiuse gli occhi. «Mi sto trasportando indietro, ai miei giorni all’università, e sto ascoltando le lezioni del mio professore di filosofìa. Ricordo che diceva che Spinoza era una figura maestosa nella storia dell’intelletto. Che era stato un uomo solo, scomunicato dagli ebrei, che i suoi libri erano stati messi all’indice dai cristiani e che aveva cambiato il mondo. Affermava che Spinoza aveva dato origine all’età moderna, che l’illuminismo e lo sviluppo delle scienze naturali avevano avuto inizio con lui. Alcuni lo considerano il primo occidentale a vivere apertamente privo di affiliazioni religiose. Ricordo come tuo padre disprezzasse pubblicamente la chiesa. Eugen mi disse che si rifiutava di metterci piede, persino a Pasqua e a Natale. È vero?» Guardò Alfred negli occhi, e quest’ultimo annuì. «È vero».
«Quindi in qualche modo tuo padre era in debito nei confronti di Spinoza. Prima di Spinoza, una simile aperta opposizione alla religione sarebbe stata impensabile. E sei stato molto acuto nell’individuare il suo ruolo nell’ascesa della democrazia in America. La Dichiarazione d’Indipendenza americana fu ispirata dal filosofo britannico John Locke, a sua volta ispirato da Spinoza. Vediamo, che altro? Ah, ricordo che il mio professore di filosofìa enfatizzava in modo particolare l’adesione di Spinoza all’immanenza. Sai cosa intendo con queste parole?» Alfred assunse un’aria incerta, mentre faceva ruotare le mani con aria interrogativa.
«È il contrario di trascendenza. Si riferisce all’idea che questa esistenza che viviamo sia tutto quello che esiste, che le leggi della natura governino ogni cosa e che Dio sia del tutto equivalente alla natura. La negazione di Spinoza di una qualsiasi vita futura è stata di monumentale importanza per la filosofia che venne dopo di lui, perché significò che tutta l’etica, tutti i codici del significato della vita e del comportamento devono partire da questo mondo e da questa esistenza». Friedrich fece una pausa. «Questo è quanto mi torna in mente. Oh, sì, un’ultima cosa. Il mio professore affermava che Spinoza era l’uomo più intelligente che avesse mai posato il piede sulla terra».
«Capisco quest’affermazione. Che si sia o meno d’accordo con lui, è chiaramente brillante. Sono certo che Goethe e Hegel e tutti i nostri grandi pensatori l’abbiano riconosciuto».
E tuttavia com’è possibile che simili pensieri siano venuti a un ebreo? stava per chiedere Alfred, ma si trattenne. Forse entrambi cercavano di evitare l’argomento che durante il loro ultimo incontro aveva suscitato tanta acrimonia.
«E così, Alfred, hai ancora la tua copia dell’Etica?» Il cuoco si fermò accanto al loro tavolo e servì il tè.
«La stiamo trattenendo qui?» chiese Friedrich, dopo essersi guardato attorno e aver scoperto che lui e Alfred erano gli unici commensali rimasti nella sala.
«No, no, dottor Pfister. C’è un sacco da fare. Starò qui ancora per ore».
Dopo che il cuoco se ne fu andato, Alfred disse: «Ho ancora la copia dell’Etica, ma sono anni che non l’apro».
Friedrich soffiò sul tè, ne bevve un sorso e tornò a guardare Alfred. «Penso che adesso sia il momento di cominciare a leggerla. E una lettura diffìcile. Ho seguito un corso di un anno su quel testo, e spesso in classe trascorrevamo l’intera ora a discuterne una pagina. Il mio consiglio è di procedere lentamente. E un testo incredibilmente ricco e va a toccare quasi tutti gli aspetti importanti della filosofia: la virtù, la libertà, il determinismo, la natura di Dio, il bene e il male, l’identità personale, la relazione corpo–mente. Forse solo la Repubblica di Platone ha una portata così ampia»
Friedrich si guardò nuovamente attorno nel ristorante vuoto. «Nonostante le cortesi obiezioni di Herr Steiner, temo che lo stiamo davvero trattenendo. Andiamo in camera mia, dove potrò rinfrescare la memoria con una rapida scorsa ai miei appunti su Spinoza, e darti anche l’indirizzo di Eugen».
La stanza di Friedrich nel dormitorio dei medici era spartana: conteneva solo una libreria, una scrivania, una sedia e un letto ordinatamente rifatto. Dopo aver fatto sedere Alfred, Friedrich gli porse una copia dell’Etica da esaminare mentre lui, sul letto, sfogliava un vecchio contenitore di appunti. Cominciò a parlare dopo una decina di minuti.
«Allora, qualche commento di carattere generale. Primo, ed è la cosa più importante, non lasciarti scoraggiare dallo stile geometrico. Non credo che nessun lettore l’abbia mai trovato molto congeniale. Ricorda Euclide, con definizioni precise, assiomi, proposizioni, prove e corollari. E diabolicamente difficile da leggere, e nessuno sa dire perché lui abbia scelto di scrivere in questo modo. Ricordo che dicesti che avevi rinunciato perché sembrava impenetrabile, ma ti invito a insistere. Il mio professore dubita che Spinoza pensasse effettivamente in questo modo, ma piuttosto lo considerasse un artificio pedagogico. Forse gli sembrava il modo più naturale di presentare la sua idea fondamentale, ovvero che nulla è contingente, che ogni cosa in natura è ordinata, comprensibile, e costretta da altre cause a essere esattamente quello che è. O forse voleva che regnasse la logica, voleva rendersi interamente invisibile e lasciare che le sue conclusioni fossero difese dalla logica, non dal ricorso alla retorica o all’autorità, né giudicate a priori sulla base delle sue origini ebraiche. Voleva che l’opera fosse giudicata come viene giudicato un testo di matematica, per la pura logica del suo metodo».
Friedrich riprese il libro che aveva dato ad Alfred e ne scorse le pagine. «È divisa in cinque parti» sottolineò. «Di Dio, Della natura e dell’origine della mente, Dell’origine e della natura degli affetti, Della schiavitù umana, Della libertà umana. E la quarta parte, Della schiavitù umana, quella che mi interessa di più, perché ha la maggiore rilevanza nel mio campo. Prima ho detto che non ho pensato a lui da quando ci siamo incontrati l’ultima volta, ma mentre parliamo mi rendo conto che non è vero. Spesso, mentre leggo o assisto a conferenze psichiatriche o parlo con i miei pazienti, rifletto sulla vasta influenza, non riconosciuta, che Spinoza ha avuto nel campo della psichiatria. E la quinta parte, Della potenza dell’intelletto, o della libertà umana, ha anch’ essa rilevanza per il mio lavoro e dovrebbe interessarti. Questa è la parte che immagino essere stata più benefica per Goethe.
«Un paio di riflessioni sulle prime due parti…» Friedrich lanciò un’occhiata all’orologio. «Per me sono le più diffìcili e astruse, e non sono mai stato in grado di capire tutti i concetti. Il punto principale è che ogni cosa nell’universo è una singola sostanza eterna, sia essa la natura o Dio. E non dimenticare mai che usa i due termini in modo intercambiabile».
«Le menzioni di Dio imbrattano ogni pagina?» chiese Alfred. «Non pensavo fosse credente».
«Su questo esistono opinioni controverse. Molti lo considerano un panteista. Il mio professore preferiva definirlo un ateo ambiguo, che usava ripetutamente il termine Dio per incoraggiare i lettori del diciassettesimo secolo a procedere nella lettura. E per evitare che sia lui che i suoi libri venissero consegnati alle fiamme. Di certo non parla di Dio in senso convenzionale. Se la prende con l’ingenuità degli umani, che affermano di essere fatti a immagine di Dio. Da qualche parte, credo nella sua corrispondenza, dice che, se potessero pensare, i triangoli darebbero vita a un Dio triangolare. Tutte le versioni antropomorfe di Dio sono solo invenzioni superstiziose. Per Spinoza, la natura e Dio sono sinonimi: si potrebbe dire che ha naturalizzato Dio».
«Fino a questo momento non ho sentito niente che riguardi l’etica».
«Devi aspettare fino alla quarta e alla quinta parte. Prima stabilisce che viviamo in un mondo deterministico, carico di ostacoli per il nostro benessere. Qualsiasi cosa avvenga, è il risultato delle leggi immutabili della natura e noi, facendo parte della natura, siamo soggetti a queste leggi deterministiche. Per di più, la natura è infinitamente complessa. Secondo lui ha un numero infinito di modi o attributi, e noi umani possiamo solo comprenderne due, il pensiero e l’essenza materiale».
Alfred gli rivolse qualche altra domanda sull’Etica, ma Friedrich notò che sembrava sforzarsi di continuare la conversazione. Scegliendo accuratamente il momento giusto, azzardò un’osservazione. «Alfred, per me è magnifico ricordare e discutere di Spinoza con te, ma vorrei essere certo di non essermi lasciato sfuggire qualcosa. Come terapeuta ho imparato a prestare attenzione alle intuizioni che mi passano per la mente, e ne ho una che ti riguarda».
Alfred sollevò le sopracciglia in fremente attesa.
«Ho la sensazione che tu non sia venuto solo per parlare di Spinoza, ma anche per qualche altra ragione».
Digli la verità, si disse Alfred, digli della tua chiusura all’esterno. Della tua incapacità di dormire. Del non sentirti amato. Dell’essere sempre un estraneo, uno che se ne sta sulle sue invece di far parte di qualcosa. Invece disse: «No, è stato magnifico vederti, aggiornarci sulle nostre vite, imparare qualcosa in più su Spinoza… Dopotutto non ci si imbatte spesso in un insegnante di Spinoza, non è vero? Inoltre ho una buona storia per il giornale. Se mi fornirai delle letture scientifiche sulla psicosi traumatica, scriverò la storia sul treno che mi riporterà a Monaco, e la inserirò nel prossimo numero. Te ne manderò una copia».

Franco si schiarì la gola e parlò in una tonalità più acuta. «Signor Spinoza, tu concordi sul fatto che tocca solo alle donne essere trattate come creature inferiori in ogni senso? In sinagoga dobbiamo sedere separate dagli uomini, e su sedili più modesti, e…»
«Sarah» lo interruppe Bento, entrando immediatamente nel gioco di ruolo, «è naturale che voi donne e le vostre occhiate lascive occupiate un posto separato. E forse giusto che gli uomini siano distratti da Dio?»
«So perfettamente cosa risponderebbe lei» disse Franco e, imitando la voce della moglie, continuò: «Intendi quindi dire che gli uomini sono come bestie in perenne calore e vengono sviati dalla loro razionalità dalla semplice presenza di una donna, quella stessa donna accanto alla quale dormono ogni notte? E che la semplice vista delle nostre facce dissiperà il loro amore per Dio? Puoi immaginare come ci faccia sentire tutto questo?»
«Oh, donna sciocca… Certo che dovete essere tenute lontane da noi! La presenza dei vostri occhi tentatori, dei vostri ventagli fluttuanti e i vostri commenti frivoli sono nemici della contemplazione religiosa».
«Quindi, poiché gli uomini sono deboli e incapaci di stare concentrati, la colpa è della donna e non loro? Mio marito mi dice che hai affermato che nulla è buono o cattivo, ma che è la mente a renderlo tale. Non è così?» Bento annuì con riluttanza.
«Quindi forse è la mente dell’uomo che deve essere istruita. Forse gli uomini dovrebbero portare i paraocchi, invece di pretendere che le donne indossino il velo! Devo spiegarmi meglio o posso continuare?» Bento cominciò a replicare nel dettaglio, ma si fermò subito e, scuotendo il capo, disse: «Continua»“.
«Noi donne siamo tenute prigioniere in casa e non ci viene insegnato l’olandese, così siamo limitate negli acquisti e nelle conversazioni con gli altri. Portiamo il peso di un carico impari del lavoro in famiglia, mentre l’uomo per la maggior parte della giornata se ne sta seduto a dibattere questioni relative al Talmud. I rabbini si oppongono apertamente alla nostra educazione perché affermano che abbiamo un’intelligenza inferiore e che, se ci dovessero insegnare la Torah, ci riempirebbero di sciocchezze, perché le donne non potrebbero mai afferrarne la complessità».
«In questo caso sono d’accordo con i rabbini. Credi davvero che donne e uomini abbiano uguale intelligenza?»
«Chiedi a mio marito. E lì accanto a te. Chiedigli se non imparo rapidamente e se non capisco tanto profondamente quanto lui».
Bento con un movimento del mento invitò Franco a intervenire. Questi sorrise e disse: «Dice il vero, Bento. Impara e comprende altrettanto in fretta, forse persino più di me. E tu hai conosciuto una donna come lei. Ricordi quella giovane che ti insegnava il latino, che tu stesso avevi definito un prodigio? Sarah pensa persino che le donne dovrebbero essere incluse nel mìnyan, essere chiamate a leggere dalla bimah e persino diventare rabbine».
«Leggere dalla bimah! Diventare rabbine? Questo è inverosimile! Se le donne fossero capaci di condividere il potere, allora dovremmo trovarne numerosi esempi nella storia. Invece non se ne trova nemmeno uno, nemmeno un caso di una donna che governi come un uomo, o che governi sugli uomini. Ne possiamo solo concludere che le donne posseggono una debolezza innata».
Franco scosse il capo. «Sarah direbbe, e su questo punto dovrei dirmi d’accordo con lei, che la tua prova non è affatto una prova. La ragione per cui non esiste condivisione del potere è…» Un colpo alla porta interruppe la loro discussione, e la governante entrò con un vassoio carico di cibo. «Signor Spinoza, posso servirla?» Bento annuì e la donna cominciò a disporre piatti di cibo fumante sul tavolo di Bento. Questi si rivolse a Franco: «Ci sta chiedendo se vogliamo mangiare qualcosa per pranzo. Possiamo farlo qui dentro».
Franco, stupito, guardò Bento e rispose in portoghese: «Bento, come puoi pensare che possa mangiare questo cibo con te? Te lo sei dimenticato? Io sono un rabbino!»