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Esotica Roma
«Immaginate questa città deserta, – continuò lo scrittore, – fatta soltanto di fontane, di porticati, di giardini, di basiliche, fatta di statue al centro delle piazze ma anche di lampioni, di ospedali, di tralicci, di radioline lasciate sui balconi. Bandite le persone, sarebbero le cose a dialogare finalmente tra di loro. In nessun luogo come a Roma, questo dialogo sarebbe piú musicale, piú ispirato, piú fecondo, piú denso di significato».
(Nicola Lagioia, "La città dei vivi")
Stamattina quando mi sono alzata non sapevo che avrei trascorso la notte a Roma, l’ho deciso di punto in bianco all'ora di pranzo. Nel tragitto in autostrada niente da segnalare, se non un incolonnamento nell'ultimo tratto, e poi al casello di Roma Sud qualcosa è andato storto e la sbarra si è alzata senza darmi la possibilità di pagare. Alle 23 dunque mi trovo in via degli Zingari, seduta a un tavolino che traballa sui sampietrini, di fronte a una birra alla spina. Sono nella cosiddetta suburra, la parte bassa del rione Monti, una zona di aggregazione serale sempre affollata grazie ai numerosi bar e ristoranti dove impazza la famigerata movida, uno dei bersagli più colpiti dal moralismo anticovid durante tutto il periodo della pandemia, con il suo corollario di aperitivi e spritz criminali.
I Fori imperiali sono deserti nel buio della notte, mentre da via dei Serpenti si intravede in fondo in fondo uno scorcio illuminato del Colosseo. Una sinfonia di un compositore russo che non conosco, un bicchiere di grappa norvegese e poi a nanna: anche questo condominio è quasi del tutto disabitato, soltanto dal piano terra proviene della musica jazz ad alto volume, ma riesco lo stesso ad addormentarmi. Il rione Monti già da tempo sta vivendo una grande trasformazione, con i residenti che sloggiano per lasciare il posto ai turisti: i prezzi al metro quadro infatti sono da capogiro e un buon numero di proprietari ha trasformato il proprio appartamento in una casa vacanze. Ecco perché adesso è tutto vuoto: i turisti non ci sono. E pensare che questo è il periodo in cui Roma fa il pieno di stranieri.
Ora poi che il cosiddetto "smart working" dei dipendenti pubblici ha letteralmente svuotato ristoranti e fast food all'ora di pranzo (senza che possano nemmeno rifarsi più di tanto con l'asporto), e che molte altre attività commerciali hanno chiuso i battenti, è ancora più lampante la crisi del quartiere, e delle città d’arte in genere, causata dalla pandemia. Inoltre non ci sono mostre, concerti, spettacoli teatrali, e se già il livello della vita culturale della capitale secondo molti si stava deprimendo a vista d’occhio, prima o poi bisognerà contare i danni anche di questa catastrofe.
Anch'io è da un po’ che non passo una notte fuori città. Dopo due mesi di lockdown e poi la lenta ed euforica ripresa della vita sociale, mi sembra quasi esotico prendere il caffè al bar in Piazza della Madonna dei Monti, costeggiare le cascate di edera che ricoprono i muri, sedermi sulla scalinata di Piazza di Spagna quasi deserta. Per fortuna, in questa breve finestra di libertà estiva, la maggior parte dei luoghi sono aperti al pubblico, così posso visitare per la prima volta villa Torlonia, sdraiarmi sul prato di Villa Borghese, rendere omaggio ad Andrea Camilleri nel cimitero acattolico di Testaccio, tornare al giardino degli aranci... E a un certo punto, guardando san Pietro dal buco della serratura dell’Aventino, per qualche istante mi sembra addirittura di vedere una via d'uscita.