- Categoria principale: Storie in America
- Categoria: Cuba
NO QUIERO APRENDER A BAILAR
Qua sono tutti ingegneri dottori professori fisici nucleari, anche quelli che affittano la propria casa ai turisti e cucinano e puliscono e fanno conversazione sfoggiando il loro miglior sorriso. A Remedios ad esempio alloggio nella casa di Josè, professore universitario di economia. Suo figlio, che mi viene presentato subito insieme alla fidanzata, invece insegna educazione fisica e scacchi. Josè è un incrollabile ottimista. Mi racconta con entusiasmo che viaggia per lavoro, per esempio è stato ospitato in alcuni Paesi del Sudamerica, e non ritiene un problema il fatto che per recarsi in qualunque altra nazione del mondo per tutti loro sia necessaria una scoraggiante trafila burocratica. Cuba infatti ha stretto accordi con il Cile, con il Brasile e soprattutto con il Venezuela di Chavez, ricco di petrolio, in cambio del quale gli vengono spediti migliaia di medici; però lasciare il Paese non rientra ancora tra i diritti fondamentali di un cubano. Così come mancano all'appello altri fondamentali diritti, come quello alla libertà di informazione. Questo professore usa internet ma glissa sulla censura, non gli risulta che le mail vengono controllate, non sembra preoccuparlo che i cellulari, introdotti nel Paese da pochi mesi, abbiano costi proibitivi.
Si scopre che, per soli due giorni di ritardo, mi sono persa l'appuntamento mondano dell'anno, la Parranda, una sorta di Carnevale che ha luogo la sera della vigilia di Natale, durante il quale i due quartieri della cittadina si sfidano in una gara di carri, impalcature, maschere e fuochi d'artificio che richiedono una lunga preparazione segretissima. Al termine della gara in realtà il vincitore praticamente nessuno si ricorda chi era, questo per dire il livello alcolico che si può raggiungere. I carri abbandonati occupano ancora gran parte della piazza della Cattedrale e, se proprio uno vuole approfondire l'argomento, può recarsi al museo delle Parrandas. Per fortuna io non ne ho bisogno, in quanto una cover della festa si svolgerà proprio stasera nel vicino comune di Caibarién. Bancarelle, panini giallo fosforescente, maialini arrosto, giostre, salsa moderna e reggaetón rendono l'esperienza allegra e spensierata, ma io già non ero interessata a imparare a ballare la salsa, figuriamoci il reggaetón.
I cayos sono degli isolotti corallini quasi sempre sinonimo di turismo molto poco fai da te. Cayo Coco è collegato alla terraferma da una lunga strada, costruita recentemente scatenando le ire degli ambientalisti perché lì vicino nidificano i fenicotteri. Prima di imboccarla c'è un posto di blocco per il controllo passaporti, infatti l'accesso è vietato ai cubani i quali potrebbero approfittare della vicinanza con la Florida per prendere il largo e abbandonare il Paese per sempre, cosa che molti disperati hanno fatto, soprattutto nel período especial, quegli anni successivi al crollo dell'Unione Sovietica in cui la situazione era drammatica. In spiaggia apprendo dal titolare del baretto che ormai lo Stato chiude un occhio se un cubano coi soldi viene qui previa prenotazione di un ristorante oppure pagando direttamente l'ingresso, l'importante è che se ne vada entro "las cinco de la tarde".
Questa spiaggia è davvero "un eden di sabbia chiara bagnato da acque cristalline", come potrebbe definirla un catalogo in agenzia viaggi, ma per il resto meno male che sono rimasta un giorno solo. Intorno ci sono solo hotel a svariate stelle, grandi e costose strutture alberghiere spuntate negli ultimi anni e villaggi all inclusive con discoteche gelide, prezzi da paura e turisti tristi: se non me ne può fregare di meno del ballo, non ci penso proprio ad imparare in una discoteca ad aria condizionata situata in un villaggio all inclusive.
Racconto di viaggio completo "NON VOGLIO IMPARARE A BALLARE! Cuba in lungo e in largo"