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Varkala beach: Felici Tropici
Varkala beach è un serpente di negozietti, locali lounge e resort in bambù che si snoda in cima ad una suggestiva scogliera, sotto la quale sono incastonate alcune spiagge schiumose di onde. Tale villaggio è prettamente realizzato per i turisti, è vero, ma turisti appartenenti alla categoria tra le meno odiose al mondo: non si ubriacano in modo molesto, non vanno in discoteca, non sfoggiano abiti fighetti, leggono molto e, grazie alla pratica dello yoga, ai trattamenti ayurvedici e all'uso moderato di cannabis, sono — quasi tutti — molto rilassati. Questa imponente scogliera rappresenta un'eccezione nell'intera costa del Kerala, altrimenti bassa e sabbiosa, e in effetti rende l'esperienza della "spiaggia tropicale con palme, Buddha bar e pesce crudo nel ghiaccio pronto per essere grigliato" diversa rispetto alle identiche situazioni oramai standard un po' ovunque.
L'intero apparato commerciale di Varkala Beach è nelle mani degli immigrati tibetani, ladakhesi o kashmiri, che coprono sia il settore gastronomico, sia quello delle accommodation, sia quello dei souvenir. Il risultato è che si è costretti a portare come regali agli amici campane tibetane e singing bowl (ma tanto la maggior parte di loro non si accorgerà minimamente dell'incongruenza), per fortuna però non si è obbligati a mangiare sozzi manicaretti indiani piccantissimi e ci si può strafogare liberamente di momo vegetariani e noodles.
La stagione balneare di Varkala dura pochi mesi: tra giugno e settembre ci sono i classici monsoni di sud-ovest che portano le piogge, poi, quando altrove già si va verso la stagione secca, zac!, a fine ottobre arriva la coda del monsone di nord-est e quindi acquazzoni e anche qualche ciclone, giusto per gradire; se si pensa infine che nei mesi di aprile e maggio fa un caldo da scoppiare, si può facilmente intuire perché la maggior parte delle attività commerciali sia attiva soltanto da dicembre a febbraio. Da marzo in poi molti operatori infagottano le loro cose e tornano al nord, dove il clima consente di lavorare anche nei mesi estivi.
La mia stanza è situata al piano terra di questo edificio a pochi passi dalla mitica scogliera. È molto spartana, ma abbastanza pulita, a parte la puzza di fogna che proviene dal bagno (e che cerco di neutralizzare bruciando di continuo bacchette d'incenso). Esattamente sopra la stanza, sulla terrazza vista mare, si tengono due volte al giorno le lezioni di yoga di Sunhil. Uno dei più perfetti momenti trascorsi a Varkala è lo savasana (la posizione del cadavere, una asana di rilassamento totale) sulla terrazza dell'Hill Cliff, accompagnata dal gracchiare dei corvi vicino, dalla melodiosa chiamata alla preghiera del muezzin lontana e dal vento fresco che fa sventolare le foglie di palma. E comunque, nei giorni trascorsi a Varkala, sembra sempre di udire un canto esotico: se non è il muezzin, sono gli inni induisti, se non è l'ohm di un corso di yoga è un cd Cafè del mar.
Varkala offre una straordinaria offerta di trattamenti ayurvedici: lungo la passeggiata numerosi cartelli invitano a provare lo sgocciolante Siro dhara o il tamponante Navarakizhi. La foto del faccione baffuto del medico di riferimento serve come garanzia e agisce da testimonial. Durante l'anamnesi costui, in carne e ossa questa volta, vi tasta il polso mentre vi riempie di domande e ascolta le vostre risposte con un'imperscrutabile espressione (uguale a quella della foto). Poi vi confeziona un pacchetto della durata dei vostri giorni di vacanza, in cui vengono sapientemente alternati uno sgocciolante Siro dhara ad un tamponante Navarakizhi. In realtà non so bene che senso abbia tutto ciò, considerando che i benefici che derivano dalla medicina ayurvedica in termini di benessere e longevità necessiterebbero di lunghi trattamenti che coinvolgano anche lo stile di vita, l'alimentazione, l'eliminazione dello stress; comunque, male non dovrebbero fare.
A Varkala Beach i turisti, più o meno fricchettoni, possono trovare nei negozi tutte le merci di cui hanno bisogno e che non faranno loro rimpiangere di trovarsi a migliaia di chilometri da casa loro: sigarette e tabacco (in Kerala è proibito fumare in pubblico), birra Kingfisher e a volte anche superalcolici (in Kerala è proibito bere alcolici, e dunque li servono con molta accortezza), bagnoschiuma (in Kerala non riescono nemmeno a immaginare perché un sapone debba essere liquido), crema solare (gli indiani vanno al mare vestiti dunque non ne hanno bisogno), repellenti per zanzare (anche se in Kerala il rischio malaria è molto ridotto), croissant francesi, pasticceria tedesca, pasta e pizza italiane.
Per altri versi, però, poco è cambiato dalla fine degli anni Cinquanta, quando Rossellini girò il suo documentario sulle coste del Malabar meridionale: le stesse palme da cocco scompigliate, lo stesso vento carico di sabbia e salsedine, le stesse enormi onde oceaniche, le stesse ali spiegate di corvi e falchetti, gli stessi robusti pescatori con le facce cotte dal sole, che trascinano barche di legno scavate nei tronchi d'albero dalla riva al mare aperto e le riportano faticosamente a terra al mattino. Soltanto, nel frattempo, questi millenari pescatori hanno dovuto abituarsi a qualche culo occidentale steso al sole — che hanno imparato a scavalcare con noncuranza mentre per decine di metri stendono sulla sabbia le reti per la manutenzione quotidiana. Soltanto, sopra alla gonna pareo rimboccata in vita, spicca qualche polo griffata che, per quanto scolorita dal sole e dal sale, denota un contatto più utilitaristico con i turisti, a cui — ogni tanto — vengono spillate sigarette o richiesto bonariamente aiuto per ricondurre l'imbarcazione sulla terraferma.
È questo lo spettacolo a cui il bagnante può assistere mentre si avventura lungo la costa verso nord, fino a raggiungere la moschea, il villaggio dei pescatori, le pozze dove i bufali si bagnano e infine la spiaggia di Odayam, schivando i granchi, le bucce di noci di cocco e gli aironi. Procedendo in direzione sud rispetto al cliff, invece, si allarga prima una grande spiaggia frequentata soprattutto da occidentali in costume e solo in minima parte da indiani vestiti. La successiva insenatura è terreno riservato tacitamente agli abitanti del luogo, in cui dunque al posto dei bikini e dei boxer colorati, è tutto uno sventolio di sari colorati e gonne pareo o pantaloni per gli uomini, abiti con cui eventualmente ci si tuffa nel mare.
A dire il vero, in questi giorni i sari sono per la maggior parte gialli perché si celebra il Pellegrinaggio in onore del Guru Narayana: questo grande maestro di Varkala morì in settembre, ma chiese che i pellegrini festeggiassero tra il 30 Dicembre ed il 1 Gennaio, indossando vesti di color giallo (il colore di Buddha).
E così, tra un rinfrancante tadasana e un pedicure ayurvedico, tra un acido lassi alla banana e un paio di ali baba pants viola, gli spensierati giorni di vacanza all'insegna del benessere e della vitalità volgono al termine. Il volo di ritorno parte dall'aeroporto di Trivandrum (situato a circa un'ora di strada) intorno alle quattro di mattina: verso le undici dunque comincio ad avviarmi, poiché siamo pur sempre in India (per quanto in uno Stato che vanta una speranza di vita e un tasso di alfabetizzazione superiori alla media nazionale di minimo 10 punti). E meno male, perché l'autista non aveva ancora del tutto smaltito la sbronza mattutina e ci sono voluti diversi test prima che mi convincessi a salire sul mezzo (e anche una commovente confessione del pover'uomo che, essendo single e soffrendo di solitudine, non ha altra amica fuorché la bottiglia). È ripensando alla triste storia dell'autista alcolista (e anche a tutti gli altri guidatori incontrati durante il viaggio, alcolisti o meno) che mi sottopongo alle ore di fila di routine all'aeroporto internazionale, certificato ISO, di Thiruvananthapuram (detta Trivandrum), alle quattro della mattina del mio ritorno dall'India meridionale.