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Sahara quel che Sahara

Dopo tanti giorni in pieno deserto dell'Acacus, tornare sulla strada asfaltata per raggiungere Germa è davvero straniante. Nell'antica capitale dei Garamanti, misteriosa popolazione berbera raffigurata nelle pitture rupestri alla guida di arcaici carri, visitiamo i resti della città vecchia con la necropoli, acquistiamo bevande tremende come la Merinda (succo di mela frizzante) e telefoniamo alla mamma che non aveva notizie di noi e ci credeva già divenute prostitute libiche (negli anni '80 ascoltava "La voce del padrone" di Battiato).
Nell'attesa che Ahmed (il buon Ahmed dagli occhi tristi) reperisca della benzina, ci sdraiamo sulla sabbia. Ci stiamo preparando allo spettacolo degli spettacoli: salite e discese tra le dune più biscottate e ripide dell'Erg di Ubari, a caccia degli idilliaci laghi circondati dai palmeti. Il primo lago, quello di Mahfu, appare all'improvviso dopo un testacoda mozzafiato di Ahmed. È tutto racchiuso in un colpo d'occhio, l'acqua e le palme intorno e poi a sfinire il bronzo sabbioso. Poi il lago più grande, quello di Gabraoun, nel quale si specchia una grandissima duna. La tomba (gabra) del capostipite della famiglia dei boss locali, gli Oun, è proprio lì, nella duna che abbraccia il lago, segnalata da una bandierina verde. Qui ai tempi vivevano i Dauada, una popolazione che si sostentava mangiando una specie di larva che si riproduceva sulle sponde. Nei pressi vi è un camping con ristorante e negozio di artigianato tuareg; volendo si possono affittare gli sci, ma mancano gli impianti di risalita.
Il lago di Oum el Ma è il più pittoresco: uno specchio d'acqua in cui si riflettono la grande duna, i cespugli, le palme e i canneti. È qui che montiamo l'ultimo campo, quello più grazioso ma più umido e freddo, circondato dalle palme che sputano i loro datteri nella sabbia sottostante. Nonostante il vento sia calato, la temperatura è così gelida che non abbiamo la forza di scoprire di chi sono quelle voci che cantano in lontananza. In tenda ho battuto i denti pur intabarrata in sette strati di vestiti (i famosi sette veli), dentro ad un sacco a pelo impregnato di benzina, ma è l'ultima notte e la nostalgia è già in agguato.
L'ultima ora a cavallo delle dune è esaltante ma anche malinconica. Il Gatto e la Volpe scelgono una pista diversa dall'anziano capo autista, il quale impreca in arabo. Nel deserto è sempre necessario tenersi tutti d'occhio e aspettare il fuoristrada che eventualmente è rimasto indietro; tutti gli autisti sono molto attenti, ma stavolta non è proprio possibile andare a riacciuffare i driver scomparsi. Li rincontreremo poi dal "gommista", in un camping dove bisogna rigonfiare gli pneumatici per affrontare il ritorno sulla strada asfaltata. Approfitto per fumare la shisha con dei signori con grandi turbanti, e soprattutto per lavarmi le mani: finalmente le unghie non sono più nere.
E poi, come tutte le cose belle, anche questa finisce. Da ultimo il passo del non ritorno: la doccia dopo nove giorni. L'aria secca e l'onnipresenza della sabbia hanno davvero proprietà fantastiche: piedi, capelli, pentole, gavette, mantengono la loro originaria brillantezza. Ma una doccia dopo nove giorni è una doccia dopo nove giorni. Le ultime 12 ore di autobus e l'intera notte trascorsa all'aeroporto di Tripoli sotto la minaccia dell'overbooking le abbiamo affrontate con uno spirito ascetico, lieto e sereno come quello dei monaci del primo Cristianesimo.
L'esperienza sahariana è stata vissuta da tutti come una felice liberazione dalla costante presenza di un ego invadente (che abbiamo prontamente cancellato all'arrivo, come ci aveva consigliato Dominique, l'insegnante madrelingua). L'abbandono totale e fiducioso alla logica del "loro sanno" ha reso i compagni di viaggio e me quasi ebbri, alleggerendoci dalla comune responsabilità di evitare gli ostacoli che la vita quotidiana ci mette tra i piedi. E insegnandoci che quando non si può fare nulla per cambiare ciò che è dato, è inutile darsi pena.
Il volo è puntuale. A Roma è una bella giornata calda. Al primo risveglio in un letto ho avuto la fondata certezza che i cuscini e le lenzuola in cui giacevo nella penombra fossero fatti di sabbia.

Racconto di viaggio completo "ERASE YOUR EGO. Il deserto dell'Acacus"

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