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Battambang e dintorni

Per il tour di Battambang e dintorni, il primo dell'anno, condivido il rimorchio con una turista olandese piuttosto laconica, vestita con un abitino stile Anna dai capelli rossi. Procedendo tra le risaie giungiamo al Bamboo train, un originale mezzo di trasporto costituito solo dalle ruote e da un pianale di legno, che è stato trasformato in un'esperienza turistica di cui i locali sono molto orgogliosi. Il mezzo prende subito velocità sull'unico binario che si dirige nel nulla della campagna; quando dalla direzione opposta arriva un "bamboo train" uguale al nostro, frenano, ci fanno scendere, smontano l'accrocchio e poi lo rimontano dopo che l'altro mezzo è passato. Infine, prima di tornare indietro, ci fanno riposare per dieci minuti davanti a delle povere bancarelle.
Mentre torniamo verso il centro cittadino passiamo davanti ad una rotonda al centro della quale spicca un'enorme statua moderna, che raffigura un gigante nero di pelle con gli occhi spiritati e in mano una coppa d'oro e un bastone nero. Si tratta del leggendario "re gigante" che fondò la città: costui lanciò una mazza, probabilmente contro un rivale, però mancò il bersaglio facendola finire da queste parti (Battambang significa letteralmente "perdere il bastone").
Raggiungiamo quindi un bel complesso buddista: i tetti sono sorretti da mani giganti, gli altri ornamenti d'oro e le statue colorate fanno un bellissimo contrasto con il cielo azzurrissimo. Sulla strada il driver, che poi sarebbe lo stesso di ieri (Dj tuktuk driver), si ferma per comprarci un po' di sticky rice, cotto dentro un pezzo di canna di bambù con latte di cocco e fagioli (che poi me lo sono mangiato tutto io perché l'olandese è un po' schizzinosa).
La prossima tappa è il Wat Somrong Knong, un monastero usato come "security center" dai Khmer rossi e per questo definito con l'abusato nome "killing field". Tra le altre scelleratezze, costoro soppressero il culto buddista, distrussero le pagode e le statue di Buddha e forzarono a lavorare  i monaci, eliminando quelli che non rinunciavano alla tonaca, infatti alla fine del regime la maggior parte di loro erano morti. Naturalmente lo stesso trattamento fu riservato alle altre religioni, infatti anche i pochi cattolici furono sterminati e ad esempio la cattedrale di Phnom Penh fu completamente rasa al suolo. Oggi il complesso presenta una pagoda principale, diversi stupa, statue e antiche rovine; l'aia centrale è completamente occupata dal riso che sta seccando al sole e da alcuni sacchi colorati già pieni, il museo delle torture è chiuso perché il primo dell'anno è festa nazionale e infine c'è un grande monumento commemorativo al centro del quale sorge un ennesimo stupa pieno di teschi e ossa, definito "Pozzo delle ombre". Le parole incise su un pannello spiegano che in questa prigione morirono 10.008 persone, elencano i nomi dei guardiani e dei boia del carcere e come al solito si soffermano sui particolari più raccapriccianti, tipo il cannibalismo o i serpenti velenosi utilizzati per uccidere i prigionieri, e poi concludono in questo modo: "L'intera portata della tragedia cambogiana non sarà mai conosciuta, i resti di alcune vittime di questo genocidio potrebbero non essere mai recuperati, né i loro assassini identificati, ma i khmer, persone gentili, ottimiste e capaci di perdonare, ora cammineranno con fiducia attraverso il pozzo delle ombre per reclamare la loro antica cultura e restaurare questa bellissima terra, affinché diventi di nuovo il leggendario paradiso delle apsaras celesti." Anche i bassorilievi che circondano il monumento illustrano le atrocità compiute dai khmer rossi, infatti rappresentano scene come l'evacuazione di Battambang, i matrimoni forzati celebrati tramite cerimonie impersonali di massa, le uccisioni di bambini effettuate davanti ai loro genitori, gli affogamenti, gli interrogatori, lo svuotamento degli ospedali, la confisca delle biciclette, gli stupri ecc. Una statua rappresenta un cambogiano con la classica divisa nera, la sciarpetta rossa e bianca, il cappellino e i sandali neri in copertone, sotto cui è incisa una famosissima frase del regime: "Quando si strappano le erbacce, bisogna rimuovere le radici e tutto il resto." Battambang rimase fino all'ultimo uno dei capisaldi dei Khmer rossi nell'area. Dj tuktuk driver, che ha quasi 50 anni, mi racconta che è nato in un campo profughi thailandese dove i suoi genitori erano riusciti a rifugiarsi.
Presso il villaggio di Pheam Ek, specializzato nella produzione di rice paper, entriamo in un piccolo laboratorio a gestione familiare, dove ci mostrano la pasta di riso stesa asciugare al sole su telai di bambù e poi ci offrono degli involtini primavera cotti a vapore. Lo stesso avviene per quanto riguarda le banana chips (sottilissime, irresistibili fette di banana fritte) e il rice wine, una bevanda alcolica fermentata distillata dal riso, che avevo già assaggiato in Vietnam e che non è molto differente dal sakè.
Le ultime tappe del tour sono altri due templi: il Wat Keo (dove, giusto per restare in tema splatter, c'è la statua di un uomo morto a cui un animale sta mangiando le interiora) e il Wat Ek Phnom che, oltre alla pagoda moderna e a una colossale statua del Buddha che si specchia nel bacino d'acqua, presenta un suggestivo tempio dell’XI secolo parzialmente in rovina, un anticipo di ciò che mi aspetta a Siem Reap.

Racconto di viaggio completo "IN VIAGGIO A RIMORCHIO. Cambogia in solitaria"

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