- Categoria: Racconti in Europa
FRUMOASĂ ROMÂNIA?
Bucarest - Severin - Timişoara -Maramureş - Delta del Danubio - Transilvania - Immagini
A convincermi a partire sono stati un violinista della Bucovina e due scolare rumene. Poi, in viaggio, col passare dei giorni e l'accumularsi di ore di autobus, treno e automobile, tanti personaggi sono comparsi sul mio cammino: guide giovani e preparate e solerti receptionist, un dittatore poco morigerato (per fortuna non più in vita) e un ingegnere divorziato e malinconico, un barista che parla napoletano e un custode di chiesa dal forte accento romano, controllori di treno baffuti e sfaticati e fidanzate sfiorite di business men meridionali... Ad ognuno di loro va il mio pensiero e il mio ringraziamento per avermi guidato alla scoperta di questo paese così ricco di bellezza, di storia e di storie.
Io viene di Romania
Quando sono atterrato in Romania l'ho fatto perché volevo vedere cosa ne era, della retorica dell'altro, quando l'altro eravamo noi.
(Andrea Bajani, "Bucarest-Roma")
Ero in un piccolo locale nel centro storico di Bari e stavo assistendo al concerto di un cantautore che pretendeva il silenzio assoluto. Dunque, non volava una mosca. Erano partiti i primi accordi del nuovo brano, quando la porta si è spalancata improvvisamente e si è affacciato un violinista, seguito da altri due musicisti ancora sulla strada. Tutte le persone assiepate nel locale hanno rivolto all'unisono la testa verso l'ingresso, trattenendo il respiro. Il violinista ha detto: «Noi viene di Romania». È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Era giunto il momento di capire cosa era questa Romania da dove tutti loro viene.
Capurso, Anamaria
Giugno, ultimi giorni di scuola. In questa prima media ormai si erano quasi tutti ritirati; erano presenti soltanto due bambini iperattivi e due alunne rumene. Mentre i due undicenni cercavano di passare il tempo a modo loro, gattonando tra i banchi e inserendosi pezzi di gomma per cancellare nel naso, io conversavo con le ragazzine.
Mi raccontavano di mamme partite sole per l'Italia anni fa, di padri mai conosciuti o divorziati, di un nuovo fidanzato italiano per la mamma e poi dell'incidente che lo ha ucciso; mi elencavano lavori da badante, da addetta alle pulizie o alla raccolta della frutta. Mi dicevano della voglia di tornare a casa per le vacanze, nella casa in campagna della Moldavia, per rivedere i nonni, gli zii e i cugini, e della speranza di trascorrere anche delle giornate in montagna, magari a Brasov, in Transilvania.
Al termine dei loro racconti, Anamaria mi ha chiesto: «E la tua storia qual è?» Non sapevo cosa dire. «La mia storia? Ma la mia non è così interessante» ho risposto presa alla sprovvista. «Tutte le storie possono essere interessanti» mi ha detto lei «dipende da come la racconti».
Aeroporto di Otopeni, Fabio, Anamaria
Prima di me, quest'anno sono state in Romania tre amiche mie. Una mi ha detto di essere stata fregata da un tassista dell'aeroporto Otopeni. L'altra mi ha detto di stare attenta ai tassisti dell'aeroporto Otopeni. La terza ha preso l'autobus. Il mio primo obiettivo, dunque, arrivando a Bucarest Otopeni a mezzanotte passata, quando l'autobus non funziona, era di non farmi fregare dai tassisti.
Sull'aereo la maggioranza assoluta dei passeggeri era costituita da donne rumene con o senza bambini (più con, comunque). Poi venivano gli uomini rumeni, che facevano di tutto per stare lontani dai suddetti bambini. In minoranza assoluta giovani di imprecisata provenienza in viaggio (uno era accanto a me e ha dovuto tenersi sulle gambe alcuni arti di uno dei suddetti bambini per quasi tutto il viaggio, mentre la madre continuava a chiedergli se gli desse fastidio). E infine c'erano i business men meridionali, facilmente individuabili dagli abiti firmati, dalle arie che si davano (che denotavano grande familiarità con il Paese di provenienza dei loro pezzenti compagni di volo) e infine dai commenti ad alta voce riguardanti procaci parti del corpo delle hostess.
Giunti lì, dunque, ho acchiappato il più scaltro di questi business men e gli ho chiesto delucidazioni in merito alla questione tassisti, giocandomi la carta della mia prima volta in Romania. Lui mi ha invitato molto gentilmente nel suo taxi e mi ha fatto raggiungere l'ostello prenotato, senza nemmeno farmi pagare una parte della corsa, e io lo ringrazio per questo morbido arrivo, reso ancora più fantastico dalla presenza dell'aria condizionata in una camera singola che costava solo 17 euro.
Bucarest
Stefan
L'appuntamento era alle 18,30 in Piaţa Unirii, vicino all'orologio. C'erano forse 38 gradi. Era tutto il giorno che camminavo sotto la cappa d'afa di questa capitale dell'est che tutti dicono che non vale la pena. Ero entrata in due chiese ortodosse dove c'era la funzione della domenica mattina e avevo visto molti fazzoletti legati sotto il mento, svariate gonne o vestiti fantasia e diverse pagnottelle, buste piene di frutta e pacchi di farina poggiati sul tavolo, sui quali erano state infilzate delle lunghe candeline gialle.
Avevo visitato il museo del contadino rumeno, dove il biglietto costa l'equivalente di cinque euro, ma se vuoi fotografare devi pagare altri dieci euro. Allora avevo visto − senza fotografarli − strumenti di legno e croci, vestiti e tovaglie, una miriade di icone e uova decorate e addirittura un'intera chiesa di legno ricostruita. E tutto questo era una demo di quanto avrei visto in tutto il Paese nei successivi 20 giorni, tranne il fatto delle foto, perché negli altri posti, anche se c'era scritto che dovevi pagare un tot per fotografare, potevi fotografare lo stesso e nessuno ti diceva niente.
Quindi avevo percorso Calea Victoriei con i negozi chic chiusi fino a Piata Revolutiei e infine avevo raggiunto Piaţa Unirii, vicino alle scenografiche fontane.
Qualche minuto prima delle 18,30 è arrivato Stefan, il ragazzo che ci avrebbe guidato in questo Free walking tour della città. Poco dopo essersi presentato, mi ha raccontato che era appena tornato da Sfântu Gheorghe, sul delta del Danubio, «una località davvero splendida, near the sea, e da preferire alle altre per la minore concentrazione di zanzare, less mosquitos», ha spiegato estatico guardando la sua fidanzata Simona, che ci aveva appena raggiunti. «Purtroppo per arrivare a Tulcea in tempo per il traghetto, domani, devi prendere il treno at 5 o'clock in the morning», ha aggiunto dispiaciuto.
Quindi a tutti noi convenuti da vari Paesi del mondo, Stefan ha mostrato il fiume che Ceauşescu fece interrare, ci ha parlato della fuga del dittatore di fronte al popolo inferocito e della sua esecuzione il 25 dicembre, ci ha raccontato della statua di Traiano che sembra ubriaco e ha in braccio un serpente con la testa di lupa, ci ha fatto ammirare la statua di Vlad Ţepeş (Dracul), che governò solo 6 anni ma fece ammazzare un sacco di cattivi, e poi il monumento che sembra una polpetta o una patata infilzata, e una vecchia chiesetta con affreschi, con pietre prese in tutte le chiese distrutte da Ceauşescu, e il ristorante Carv cu bere e moltissimo altro.
Dopo avergli dato un'offerta per l'ottimo tour, sono tornata in ostello distrutta e disidratata ma con la testa piena di storie e un chiodo fisso: andare a Sfântu George.
Un sobrio dittatore
Sono arrivata al Palazzo del Parlamento in tempo per l'ultima visita guidata in tutti questi enormi saloni adibiti a sale conferenza pieni di marmo, legno di quercia, cristallo, tessuti e metalli preziosi, tutti materiali provenienti dal Paese e lavorati da artigiani rumeni h24 per 8 anni (inutile dire come stavano incazzati i rumeni nell'apprendere quanto si scialacquava in porfido e seta mentre loro morivano di fame). Ho visto un tappeto così grande che si dice sia stato realizzato direttamente dentro il grande salone, che d'altra parte ha un soffitto di vetro intarsiato dal quale inizialmente Ceauşescu voleva far entrare un elicottero. E ho ammirato un'infinità di altre idee megalomani, comprese due enormi scalinate in marmo da cui dovevano fare l'apparizione i due coniugi separatamente, una sedia tutta d'oro e i ritratti di marito e moglie alti 15 metri ciascuno. Ho appreso che per costruire la cosiddetta casa del popolo il morigerato dittatore aveva fatto abbattere interi quartieri cacciando altrove tutti quelli che ci abitavano e poi si dice che aveva fatto realizzare dei bunker e tunnel sotterranei che starebbero praticamente dentro alla collina su cui questo obbrobrio è stato costruito, ma dal quale in realtà il simpatico e sobrio dittatore non si è mai affacciato, perché pare che non fosse ancora finito quando lui è stato giustiziato.
La guida ci ha riferito che il primo che ha parlato dal balcone ufficiale del palazzo è stato Michael Jackson, ma questa è una bugia perché l'aneddoto di Michael Jackson era ambientato allo stadio ed è quello in cui lui si sbagliò e disse Budapest invece di Bucarest. Non sapremo mai cosa queste guide dicono è vero e cosa è solo per far divertire i turisti annoiati. E comunque, alla fine della visita guidata, dopo più di un'ora di sale conferenze molto kitsch, la guida ci ha detto che avevamo visitato solo il 5% del palazzo.
Drobeta-Turnu Severin, l'ingegnere
Dalla stazione nord di Bucarest avevo preso il treno per Orşova. Fuori dal finestrino, scorrevano infiniti campi di mais, grano e girasoli; dentro, l'aria condizionata andava e veniva. All'ultimo momento, il ragazzo strabico seduto di fronte a me (che, nonostante le apparenze, era un professore di economia che parlava un ottimo inglese) mi aveva consigliato di scendere − invece che a Orşova − a Drobeta-Turnu Severin, che secondo lui presentava una maggiore disponibilità di alloggi.
In effetti in questa cittadina sonnacchiosa, situata sulle sponde del Danubio a pochi passi dal confine con la Serbia, non c'è quasi niente da visitare (il museo delle Porte di Ferro è chiuso per lavori) e non c'è nessun tipo di servizio turistico, ma per qualche insondabile ragione c'è un'incredibile quantità di hotel, pensioni e bed & breakfast. L'hotel Continental, rimasto sostanzialmente identico dagli anni Sessanta, ha 112 camere, ma non merita i trenta euro che mi chiedono; così alloggio in questo alberghetto senza pretese dove vengo catapultata in un film ambientato all'epoca del comunismo. La sorridente titolare sta stirando davanti al televisore.
A Severin c'è un bel teatro restaurato, una fontana moderna molto elaborata, le rovine del Ponte di Traiano e della fortezza romana, una torre dell'acqua al centro di un incrocio e molta musica balcanica dalle autoradio. Stanno rifacendo le strade grazie ai soldi dell'Unione Europea; l'unico ristorante tipico, La Pappa, chiude alle 19, quindi devo accontentarmi di mangiare un'orrenda pizza col ketchup. Nessuno sa nulla della navigazione sul Danubio.
La sera bevo una birra in compagnia di questo ingegnere del posto. «I admire the Serbs» mi fa lui «You know, noi rumeni abbiamo sempre chinato la testa, abbiamo accettato tutto, mentre loro sono brave, coraggiosi, basta vedere come hanno resistito durante la guerra degli anni Novanta. Certo, a volte sono troppo nazionalisti, ma sempre meglio che essere passivi come noi». E io penso ai tappezzieri, ai falegnami, ai carpentieri rumeni che lavoravano notte e giorno nel Palazzo del Parlamento.
L'ingegnere mi racconta di alcuni “giochi di prestigio” effettuati dal sindaco con i finanziamenti europei, mi comunica che qui la gente è tranquilla mentre a Bucarest corrono troppo, mi confida che le moldave sono tutte bitch a causa della loro povertà, mi confessa la sua triste condizione: suo figlio ormai è grande e vive lontano, mentre con la moglie si sono separati molti anni addietro. Infine mi propone di accompagnarmi in auto a visitare la centrale idroelettrica ma, poiché sono le dieci passate, mi sono vista costretta a declinare l'invito che non mi sembra promettere nulla di buono.
Pago la birra media (costa 65 centesimi), salgo in camera e scopro che nel mio albergo si è stanziata una famiglia che non ha l'abitudine di chiudere la porta della stanza. Mentre vado in bagno, intravedo il capofamiglia in canottiera e pancia prominente che guarda la televisione seduto sul letto. Il film continua.
Al mattino noto un giovanotto sovrappeso col cappellino che dà dei soldi alla nuova tenutaria, più seria e permanentata di quella della sera prima. Mentre scendo incrocio una ragazza coi capelli rossi che aveva seguito il ragazzo sulle scale. Aveva ragione l'ingegnere: è un hotel a ore.
Porte di ferro, Petre e Mirel
Sono tornata all'hotel Continental: è l'unica speranza per trovare qualcuno che può aiutarmi nella mia benedetta impresa di fare un giro in barca sul Danubio tra Romania e Serbia (mia fissazione da quando avevo visto la foto delle Porte di ferro sul libro di geografia).
Mi accoglie Petre, receptionist vecchio stile, gentile ed efficiente. Conversiamo, gli prometto una cartolina da Bari, lui contatta un suo amico tassista. La cifra che il tassista spara al telefono è così alta che immediatamente rifiuto, cominciando ad organizzare mentalmente il piano B: Băile Herculani, le terme, l'hotel consigliato dalla vicina di treno del professore strabico, l'incontro con la mamma di Simona (il medico con cui avevo trascorso la prima sera a Bucarest). Poi però arriva Mirel. Mirel sorride ed è carino. Mirel parla italiano. E, soprattutto, Mirel abbassa la richiesta economica. Partiamo.
Costeggiamo il Danubio e passiamo davanti alla mostruosa centrale idroelettrica voluta da Ceauşescu: di là c'è la Serbia con tutti i suoi coraggiosissimi abitanti e le sigarette di contrabbando. Intanto Mirel mi racconta di quando lavorava in Italia, prima come corriere e poi nell'agricoltura, e di suo fratello che vive ancora a Verona con la moglie e trasporta medicine. Finalmente giungiamo nel punto dove partono le gite in barca più economiche: «Mica come a Orşova che ti fanno pagare un occhio della testa!» Siamo vicino alla colossale statua di Decebalo (l'ultimo re della Dacia), scavata nella roccia e rimasta incompiuta perché il milione di dollari speso dal finanziatore non era − evidentemente − sufficiente.
Salgo in barca con questo conducente che, dopo aver fatto il muratore ad Almeria, morto di nostalgia è tornato a casa. «Come facevo a dejar todo esto?» mi fa indicando col braccio il fiume e le montagne che lo incorniciano. Visitiamo anche due grotte, io e questa famiglia di Iaşi: nella seconda erano di stanza i soldati austriaci al tempo della guerra contro i turchi. Alcuni canoisti, partiti dalla Germania, stanno compiendo la loro impresa di giungere al delta.
Mirel mi ha aspettato all'imbarco, vicino ai negozi di souvenir. Mentre mangio una ciorba de burta (zuppa di trippa), ammiro il fiume e giuro che, prima o poi, ci rivedremo.
Timişoara
Damian
Prendo posto sul sedile acrilico tipico dei treni. Vicino alla finestra fa molto caldo, così lascio i miei cruciverba ermetici e vado a comprare apa minerale, rece (fresca). Al bar dell'ultima carrozza c'è Damian che mi serve. I grossi porri che ha sul naso e sulla guancia sussultano quando scopre che sono italiana. Mi chiede subito che ci faccio là, con accento napoletano. «Ma dove vivevi in Italia?» gli chiedo come al solito divertita nello scoprire con quanti accenti differenti si può imparare l'italiano. «Stavo a Casal di Principe» mi risponde. Non sono sicura di voler sapere cosa faceva precisamente lì e infatti lui resta sul vago. Oltretutto sono passati un po' di anni e ha bisogno di riprendere familiarità con la nostra lingua.
Damian mi invita ad entrare nel retro del bar, dove si può fumare liberamente. Ci raggiungono i due controllori baffuti che, come molti rumeni che ho conosciuto, hanno inizialmente un'espressione seria e severa, apparentemente poco propensa alla socializzazione, ma dopo pochi minuti dimostrano la loro cordialità. E così, ridendo e scherzando, sfogliando la mia guida della Romania e bevendo gratis bibite ghiacciate, passano le tre ore e mezza necessarie per raggiungere Timişoara. E intanto Damian mi racconta alcuni aneddoti dell'Italia, perlopiù incomprensibili, e poi del suo attuale lavoro tra Bucarest e Timişoara (e tra Timişoara e Bucarest), retribuito con uno stipendio di circa 100 euro al mese, mentre i suoi colleghi ne prendono ben 400.
Uno di loro mi regala un accendino. L'altro va a controllare se la mia valigia è ancora al suo posto. «C'è» comunica sorridendo quando torna. «Qua, a parte questi due, non ruba nisciun» chiosa Damian in napoletano.
Un uomo d'affari
Scendo dal treno, deposito il bagaglio nel primo hotel che trovo e vado alla scoperta di quella che da qualche anno viene definita l'ottava provincia veneta (già dal finestrino avevo notato i molti capannoni gialli, blu, rossi che circondano la città). Il centro è grazioso: si susseguono tre piazze molto curate e numerose aree verdi, c'è una bella cattedrale circondata da stormi di uccelli e un'incredibile quantità di bar e ristoranti affollati di gente. Damian non può permettersi di prendere nemmeno un caffè nel frizzante centro di Timişoara, dove soltanto i business men in giacca e cravatta e i pochi turisti stranieri mangiano e bevono a prezzi esigui in rapporto ai loro portafogli. Per questo Damian, anche se trascorre una buona parte delle sue notti in questa città, non osa avventurarsi in queste piazze e vie: le nostre strade si dividono.
Mi accomodo in questo ristorante centralissimo dotato di tavoli all'aperto; mentre consulto il menu, una voce familiare mi fa alzare lo sguardo: «Auè! Bevitela tu la 'bbììr!» Al tavolo accanto al mio un laido barese con il doppio mento, i capelli lunghi, unti e brizzolati e la camicia aperta sul petto sta riferendo al cameriere che ha sbagliato l'ordinazione, perché lui la birra non l'ha chiesta. Il cameriere è mortificato: non sa che questa insolenza non è un trattamento di riguardo a lui riservato, bensì contraddistingue molti miei concittadini nel loro rapporto con i camerieri di ogni latitudine.
Di fronte all'uomo d'affari è seduta una donna: è una rumena bella anche se non giovane, truccata e adornata con i gioielli che lui le ha regalato. Lui le sta enumerando le sue proprietà: è lungo l'elenco delle cose che ha. Snocciola numeri serio, mentre lei lo guarda con il mento sul palmo della mano: ha gli occhi sognanti ma non sorride. Nonostante la proposta sia allettante, lei resiste. Nonostante l'ammirazione per quest'uomo capace di trattare i camerieri in modo così determinato e virile, non se la sente di lasciare tutto e seguirlo in quella città dell'Italia meridionale. Nonostante la vaga speranza, un giorno, di rivolgersi anche lei in questo modo ai camerieri di ogni latitudine, c'è ancora, per fortuna, qualcosa che la frena.
Maramureş
Le due "cinesi"
Leggendo superficialmente la Lonely Planet, poteva sembrare che Baia Mare fosse una piccola cittadina tranquilla e che l'alloggio prescelto non fosse troppo lontano dalla stazione degli autobus. Solo durante il cammino mi sono accorta che la mappa, quella volta, era realizzata in scala 1 a 500, invece degli usuali 1 a 300. Arrivata sfinita all'ostello, ho iniziato subito a chiacchierare con un amico dei titolari (l'unico che parlava inglese), in modo da pianificare il mio soggiorno. Subito mi ha rivelato, traducendo dal rumeno dei gestori, che tra gli ospiti c'erano due cinesi, le quali il giorno dopo sarebbero andate a visitare la chiesa di Surdesti.
Il mattino dopo verso le dieci sono all'autogara, in possesso di un biglietto per l'autobus che sarebbe partito di lì a poco. Sedute composte sulla panchina ci sono le due "cinesi", vestite di tutto punto da viaggiatrici, con tanto di cappello, pantaloni tecnici con le tasche e classica camicia a quadretti da esploratore Decathlon. Mi correggono immediatamente: non sono cinesi, bensì taiwanesi. Sono quasi alla fine del loro viaggio di 45 giorni che le ha viste razzolare tra la Bulgaria e la Romania, anche se secondo me hanno sbagliato proprio destinazione perché, quando gli ho chiesto il motivo della loro scelta, mi hanno citato il loro comune interesse per le recenti guerre e per il nazionalismo (forse si sono confuse con la ex Iugoslavia). Comunque, le "cinesi" pianificano con molta cura i loro spostamenti, sono in possesso di orari dettagliati e prenotazioni anticipate, ma fatto sta che è dalle 7 che stanno sulla panchina ad aspettare l'autobus. Meno male che prendono con molta allegria le varie disavventure che gli capitano in un Paese così poco organizzato e con così poche persone che parlano inglese (e anche il loro, di inglese, non è il massimo) e non vedono l'ora di raccontarmi tutti i contrattempi e le incomprensioni di cui erano state protagoniste, dei quali ridono tantissimo.
Purtroppo, dopo esserci separate ad una fermata del microbus, non le ho più viste nella Pensiunea Pictorilor, in quanto mi hanno cacciata. Ora, questa è una cosa che non mi era mai successa, che dei gestori di una pensione che sta pure sulla Lonely Planet e hanno anche un sito decente, poiché non parlano una parola di inglese, non abbiano capito che mi sarei fermata anche la seconda notte e hanno preso tutte le mie cose sparse in camera e me le hanno malamente infilate nello zaino, buttato a terra nel magazzino, mezzo aperto.
Comunque ho trovato subito un'altra stanza vicina, dove mi ha accolto una specie di Barbie che masticava il chewing-gum mentre faceva le pulizie e che mi ha chiesto se anch'io come gli altri ero lì per rifarmi i denti.
Il custode della chiesa
Stefan, il ragazzo del free walking tour, mi aveva detto che in Maramureş la tecnologia ancora non è arrivata: «Vivono ancora in modo tradizionale» aveva aggiunto «ti colpirà molto!»
Eccomi dunque presso la chiesa di Surdesti, la più alta chiesa in legno d'Europa, che chiacchiero col custode; il suo accento romano denota molti mesi di permanenza nella capitale, e infatti mi racconta che aveva studiato ingegneria all'università di Roma, molti anni prima, e come tutti è felice di poter utilizzare di nuovo l'italiano dopo tanto tempo. Dopo avermi parlato diffusamente degli affreschi e degli arredi, gli ho chiesto alcune indicazioni in merito ai mezzi pubblici e lui mi ha detto: «Aspetta n'attimo» ed è scomparso, riapparendo pochi minuti dopo col suo laptop collegato a internet sul quale ha controllato gli orari dei bus; poi mi ha pregato di citofonargli con il campanello wireless che era vicino alla grande porta di legno, quando saremmo tornate dalla chiesa di Plopiş. Se fosse arrivato il suo sostituto, ci avrebbe dato un passaggio con il suo SUV fino alla chiesa di Deseşti (che comunque a suo parere non è bella come questa).
Siamo dunque ritornate dopo il nostro giro e, in attesa che arrivasse il sostituto (che non è mai arrivato), il custode ci ha offerto delle mele verdi appena colte e ci ha mostrato il bagno: una cassetta di legno con un buco su cui era posizionata una classica tavoletta da water. La magia è tornata.
Gente del Maramureş
La strada per arrivare a Sighetu Marmaţiei è così bella che sono stata tentata più volte di scendere dal microbus, ma lo spettacolo a bordo mi ha tenuta avvinta: le contadine con il fazzoletto in testa e la borsetta in grembo che spettegolano, gli uomini seduti in ultima fila che sono crollati addormentati ai primi dondolii del mezzo, e soprattutto il dodicenne vestito da piccolo rapper con gli auricolari nelle orecchie, che normalmente risiede ad Alessandria, e che mi fa un sacco di domande. In realtà anche io ne faccio a lui, e così ho scoperto che ha imparato a scrivere in italiano, ma non in rumeno, per esempio.
A Sighet ho deciso di trattarmi bene e ho dunque varcato le porte di un hotel confortevole e caratteristico, più costoso delle solite pensioni in cui andavo a finire. Quando ho chiesto al receptionist informazioni per raggiungere il Cimitero Allegro di Săpânţa, mi ha detto che c'era un bus alle 15 e che, per il ritorno, in qualche modo avrei fatto: «You don't have to worry». Nell'attesa ho preso qualcosa da mangiare in un bar e mi sono ritrovata a condividere gli stessi tavolini di una nutrita comitiva di trentenni. Quando ho chiesto un'informazione logistica ad uno di loro, molto lentamente il gruppo ha cominciato a prendere coscienza della mia esistenza e dopo una decina di minuti è stato convocato Giovanni, grande esperto di Italia. A Giovanni ho chiesto cosa facevano nella vita tutti quei suoi conoscenti seduti al tavolo, ben vestiti, dotati di cellulare e pacchetto di sigarette, alcuni anche di una bibita. Giovanni ha tergiversato, ha fatto delle battute e poi ha snocciolato qualche dato socio-economico: «Sono disoccupati, tutti hanno una casa di proprietà con l'orto... ah vabbè', ogni tanto vendono e comprano automobili. Ecco perché hai trovato i rumeni tanto disponibili» ha concluso «non lavorano!»
A Săpânţa, ho visitato prima una chiesa di recente costruzione che imita lo stile delle storiche chiese in legno del Maramureş (protette dall'Unesco) e addirittura − se consideriamo la base in pietra − è più alta di quella di Surdesti. Poi sono andata al Cimitero Allegro che, nonostante i lavori di restauro, è stato uno dei posti più belli che ho visto in tutto il Paese, con tutte quelle croci di legno dipinto di blu, dove trovano posto simpatici e colorati ritratti dei defunti, ognuno con una storiella divertente scritta sotto a mano, opere di un artista ormai scomparso.
Infine, al momento di tornare a Sighet, mi sono ritrovata sul bordo della strada principale insieme a due fidanzatini di Lille, a una francese di origine ivoriana, a una donna rumena con valigia e alle due "cinesi" redivive (che in un mio momento di distrazione sono sparite, questa volta per sempre). Ci ha preso su un meccanico che parla spagnolo perché ha lavorato a Barcellona. Le sue parole mi ricordano quelle di Giovanni: «Aquí ho una casa de propiedad y non devo pagare i soldi dell'affitto, ma purtroppo riesco solo a sopravvivere, e pensate che tengo quattro figli! Per questo ogni anno trabajo qualche periodo all'estero, così posso guadagnare más dinero e prima o poi riuscirò a mettere su una fattoria, mi sueño».
Guillaume e Pierre
Non che non lo sapessi che il sabato e la domenica i mezzi pubblici, già non molto frequenti in questa regione, sarebbero diventati ancora più fantasmatici. Ma non potevo mica restare ferma a Sighet, con tutto quello che c'era da vedere. Sono salita quindi sul microbus che mi ha lasciato dinanzi al Monastero di Barsana, già sottolineato sulla guida dal professore strabico, e poi caldamente raccomandato dall'efficiente receptionist dell'hotel. Una volta finita la visita, avrei pensato come proseguire.
In effetti, pochi minuti dopo aver alzato il pollice, si ferma un corriere che mi lascia al bivio per Vişeu, nella cittadina di Bogdan Voda. Fa caldo e ho anche il mio trolley con me ma, già che mi trovo, decido di entrare nel cancello della chiesa di legno che ho intravisto dietro il solito capolavoro di legno intarsiato. Inizialmente è chiusa, ma proprio in quel momento sopraggiunge il custode con la grande chiave. Entriamo: oltre me, ci sono due ragazzi francesi delusi dalla porta inizialmente sprangata. Poiché sono alla ricerca di un passaggio, presto poca attenzione ai fantastici affreschi sulle pareti di legno e mi dedico invece ad intervistare i francesi, i quali non solo hanno un'auto ma anche, sorpresa n. 1: parlano un inglese quasi decente; sorpresa n. 2: stanno andando pure loro a Vişeu.
L'affare è fatto: avremmo trascorso tre intere giornate insieme, di cui una dedicata a smaltire l'acquavite locale (la letale ţuica) bevuta a cena, l'altra a visitare il maggior numero possibile di monasteri affrescati della Bucovina, l'ultima a cercare di raggiungere Tulcea entro sera.
Adela
Il receptionist di Sighet mi aveva consigliato di prenotarla in anticipo una camera a Vişeu, se volevo andarci di sabato. «Molti alberghi ospitano wedding parties» mi aveva spiegato «e inoltre diversi turisti vanno a passare il week-end in quella località di montagna, godendosi la swimming pool o partecipando alla gita sul treno a vapore, la mocaniţa». Aveva faticato un po' per trovare una camera libera ma alla fine era riuscito nel suo intento.
La pensione della signora Adela è collocata in piena campagna. All'ingresso della villa ci accoglie la sosia di Donatella Versace, tutta vestita in bianco, con la grande bocca spalancata in un sorriso. C'è posto anche per i miei nuovi amici, nonché chaperon, francesi: le camere sono ampie e arredate con gusto.
«Mio marito è più giovane di me di ventitré anni» ci comunica subito allegramente la titolare, indicando la foto del loro matrimonio, incorniciata e appesa alla parete del soggiorno. «Molti in paese la considerano una stravaganza e parlano male di me, ma sotto sotto mi invidiano». Ci comunica anche che le hanno consegnato un premio come cittadina modello di Vişeu e che è laureata in psicologia. «Io ci metto il cuore nelle cose che faccio!» ci informa. «Per esempio tutti mi fanno i complimenti per come cucino, ma io non ho mai fatto dei corsi, semplicemente cerco di fare bene le cose che mi piacciono. Anche la mia passione per l'astrologia nasce dal mio interesse e dalla mia capacità di capire le persone e di creare un'empatia. Per esempio, tu di che segno sei? Ah Libra, bilancia! Sicuramente sei una persona con i piedi ben piantati per terra, non ami metterti al centro dell'attenzione e sei socievole, mentre tu, Pierre, capricorno, parli poco ma quel poco che dici è molto meditato».
Dopo un tuffo in piscina e una passeggiata nei dintorni, siamo a tavola con altri ospiti. A metà della cena appare il famoso marito: siamo subito indecisi se abbia esagerato con la droga, con l'alcol o con tutti e due. Dire che è sopra le righe non rende l'idea; il modo in cui tratta le cameriere e la moglie ti fa venire voglia di spaccargli la brocca del vino in testa; canta, parla in più lingue diverse, beve ingenti quantità di ţuica e infine, sotto gli occhi della povera moglie, prova persino a baciarmi.
Il mattino dopo dobbiamo svegliarci molto presto per la gita sulla mocaniţa. La sosia di Donatella, con un nuovo livido in faccia, ci fa il conto (paghiamo pure la grappa bevuta dal marito). Il marito dorme sul divano, pietosamente coperto da un pareo: «Soffre di allergia al vino rosso» cerca di giustificarlo, costernata, Adela.
Il Delta del Danubio
Manuel
Sono più o meno a metà del viaggio, è una calda sera d'estate e ci troviamo a Sfântu Gheorghe, a pochi passi dal Mar Nero. Sono arrivata in traghetto, nel pomeriggio, e sto godendo il silenzio di questo villaggio dove le strade sono fatte di sabbia. Manu, pescatore e periodicamente affittacamere di origine moldava (provenienza riconoscibile da quegli inquietanti occhi celesti quasi trasparenti che hanno laggiù), sorseggiando l'ennesima Golden Brau ghiacciata, chiacchiera con i suoi ospiti. Oltre me, c'è una coppia di Bucarest che gestisce una stazione di servizio e un'altra di Braşov, entrambi dentisti. Il pesce sta a "gratar" su un vetusto barbecue portatile: Manu mi aveva già fatto vedere il nuovo barbecue in muratura che stava costruendo, con molta lentezza dato il suo problema agli occhi. Adesso, alle due allegre coppie in vacanza, sta appunto raccontando del suo incidente, avvenuto in Tunisia, in cui stava per perdere non solo la vista, ma la vita proprio.
Dopo una ventina di minuti in cui chiacchierano fra loro, a un certo punto lui mi fa: «Roberta, capisci cosa diciamo?» E di fronte al mio diniego, confida: «Ecco come mi sentivo io quando sono arrivato a Verona, dove mio zio mi aveva trovato lavoro come muratore. Mi chiedevano sempre Sei stufo? Sei stufo? E io pensavo ai canneti, che così si dice canna in rumeno, stuf, e rispondevo No, non sono stufo, non ero stanco mai io. Dopo sette anni a Verona, e vedessi quante case ho messo su io con queste mani, ti giuro, ho fatto tanti soldi che potevo comprarne tre di case come questa qua, non una. Mi sono mangiato le mani quando dopo un paio di anni i prezzi delle case qui sono decuplicati. E poi, stavo raccontando a loro, c'è stata la Tunisia, tanti soldi e grosse responsabilità, e poi l'incidente, il coma, e l'amico che mi ha voltato le spalle, diocan. Era italiano. Ancora adesso, ti giuro, non mi fa molto piacere parlare in italiano. E comunque, allora ho deciso: basta lavorare all'estero, in mona i soldi, la vita è più importante, torno a casa dalla Tamara, che è tanto brava anche se un po' rustica. Stiamo insieme da quando avevamo 14 anni. Appena l'ho vista, ti giuro, ho pensato: è la donna della mia vita».
Pescatori e studenti
Alle nove di mattina sono al bar a prendere un caffè. Gli altri sono millenari pescatori che hanno facce ognuna delle quali, da sola, sembra un romanzo, e bevono birra. Bevono birra anche questi due stranieri, un uomo e una donna, tedeschi, scopro poi. Per loro non è comune, ma stanno festeggiando perché finalmente gli è passata quell'infezione virale presa a Vama Veche, dopo ben cinque giorni a letto. Eu vara nu dorm, penso canticchiando il tormentone di questo vacanziero luglio rumeno, «D'estate non dormo, a meno che non mi dai dei sonniferi, e se non ci sono pasticche: cameriera dammi una birra!» (E il tutto va avanti con l'elenco delle più rinomate località balneari del Paese).
Manu mi annuncia che è riuscito a trovarmi un posto nella sua barca per portarmi in esplorazione del delta fino alla zona dei pellicani. Sono in compagnia di 50 studenti di biologia dell'università di Timișoara, suddivisi in dieci barche e intenti non solo a prendere appunti sulle garzette e gli aironi, sulle agrette e i cormorani, sulle cicogne, le ninfee e le altre piante acquatiche, ma anche a scattarsi foto in succinti costumi da bagno. Per Manu e per gli altri pescatori, invece, gli uccelli e le piante non hanno nomi, sono semplicemente uccelli di palude e piante di palude. Comprano la birra dal rifornitore di benzina situato in mezzo al ramo del fiume, poi si accendono un'ennesima sigaretta e intanto conducono lentamente le loro barche nel grande Danubio, che fra un po' finirà nel mare.
Manuel & family
È l'ultima sera in questo villaggio fuori dal tempo. Facciamo i conti e Manu mi chiede veramente poco per la mia permanenza in casa, e soprattutto per i pasti a base di pesce, preparati in modo eccellente da Tamara. Dopo le carpe e le aringhe alla griglia e la zuppa di storione, c'è ancora del pesce in tavola, questa volta in un saporitissimo intingolo. Le altre ospiti fisse della casa, due sorelle con la madre, hanno appena finito di mangiare e, leccandosi i baffi, mi stanno raccontando del loro prossimo viaggio in Cina; quindi escono e ci danno appuntamento al concerto, che è già iniziato al bar all'aperto.
Io mangio in compagnia di Manu, che beve la sua Golden Brau. «Non mi piace il pesce» mi confessa «sono stufo del pesce. Anzi, in estate, con questo caldo, non mangio quasi niente, ti giuro». Intanto Tamara si è cambiata e lui le fa un fischio di complimenti: siamo pronti per andare al concerto. Nel buio tiro fuori la mia mini torcia comprata da Decathlon e, notando la loro ammirazione, gliela regalo. «A Nicolae piacerebbe molto» dicono. «Adesso però dorme: la vedrà solo domattina.» Il rapporto di questi genitori con i loro due bambini seri seri è davvero molto distaccato. Durante la cena Manu mi aveva raccontato la sua storia di bambino picchiato crudelmente da una matrigna cattiva, e aveva solennemente ribadito che lui ai suoi figli non avrebbe mai osato alzare un dito, ma che credeva in un'educazione molto rigida: «Devono imparare a guadagnarsi le cose!»
Continuiamo a bere Golden Brau mentre ascoltiamo la musica dal vivo. Molti brani sono ucraini, data la provenienza storica della popolazione di questo pezzo di delta; Tamara, che è una di loro, sorride mentre mangia i semi di girasole. La mamma delle due ragazze flirta con un ex militare in canottiera, che si gode alla grande la sostanziosa pensione decisa per lui ai tempi di Ceauşescu e mai revocata. L'amico delle ragazze mi chiede che fine abbia fatto Ambra Angiolini e, di fronte al mio stupore, mi racconta che lui ha imparato l'italiano guardando Non è la rai e il Karaoke condotto da Fiorello. A malincuore finisco la birra e vado a dormire: l'indomani ho il traghetto alle sei.
Transilvania
Un procacciatore d'affari
Come tanti rumeni, anche io volevo sfuggire la "canicula" andando "in monte". Poiché nel treno l'aria condizionata era rotta, il vagone era pieno come un uovo e stavo annegando nel sudore, per evitare di commettere una strage ho deciso all'ultimo minuto di non proseguire fino a Braşov, ma di scendere a Sinaia.
Alla stazione sono stata festosamente accolta da alcuni personaggi entusiasti di aiutarmi a trovare una stanza in una pensione. In altri frangenti li avrei lasciati perdere senza indugio, e invece, a parte che la temperatura scesa precipitosamente mi aveva gelato il sudore sulla schiena, a parte che ero in viaggio dall'alba tra nave, bus, metro e treno, oltretutto non avevo in mente nessun posto dove dormire. Dopo il rituale scambio di convenevoli ("Turista? Frumoasă România?" e "Singura? Căsătorit?" con indice e pollice della mano destra sull'anulare sinistro), uno di loro mi ha invitato a seguirlo. Dopo pochi passi mi ha confidato che le pensioni erano tutte piene, ma per fortuna non si è perso d'animo, anzi mi ha condotta con baldanzoso ottimismo in una lunga odissea alla ricerca di una camera privata in case dai pavimenti di legno scricchiolanti, di proprietà di vecchi che parlavano solo rumeno, arredate con dubbio gusto, dotate di bagni fetidi e chiavi che non funzionavano.
Proseguendo, ho scoperto con orrore che la strada era tutta in salita, poi ha cominciato a diluviare e, come se non bastasse, il logorroico procacciatore mi parlava di continuo in una lingua che secondo lui era inglese. Sono stata tentata di affrancarmi ma ho resistito fino alla casa di questa signora che gli ha offerto persino un grappino e, nonostante l'odio che ormai nutrivo per lui (e nonostante la stanza fosse orribile), gli ho perfino dato due euro di mancia: bastava che sparisse dalla mia vista.
A quel punto ho riletto sulla guida che Sinaia, la perla dei Carpazi, sorge a 800 metri di altitudine, è fornitissima di hotel di alta categoria ed è affollata di turisti che la usano come base per le escursioni sui Monti Bucegi. Quando avevo letto queste parole in treno, pigiata come una sottiletta tra rumeni sudati, mi sembrava il paradiso, invece in quel momento le leggevo così: fa un freddo cane e piove almeno una volta al giorno; per trovare una camera a poco prezzo devi accontentarti di orrendi sottoscala polverosi con le coperte di ciniglia e i fiori finti; è pieno di turisti forestieri ricchi e per trovare un locale popolare frequentato dalla gente del posto devi allontanarti un casino dal centro; è un paese per vecchi.
Gheorghe e Sofia
Brașov, dal punto di vista umano, mi stava un po' deludendo. Certo, era stato un piacere, dopo due ore di cammino sotto il sole, scoprire che la pensione di cui mi ero appuntata il nome prima di partire era proprio alle spalle del bar dove mi ero finalmente procurata una mappa della città. Mi aveva fatto una magnifica impressione visitare il centro storico sotto quel cielo così limpido e blu. Avevo anche mangiato benissimo al ristorante tipico insieme alle due ragazze berlinesi. Però non gradivo la folla che proprio quel week-end si era radunata nella famosa località transilvana in occasione del festival musicale sponsorizzato dalla birra Ursus. Inoltre mi era sembrato più costoso che altrove e, non so se per partito preso o altro, anche la gente mi sembrava diversa, più sofisticata. Poi, lentamente, ho capito: stavo semplicemente incontrando sempre meno persone che parlavano italiano, perché dalla Transilvania non solo si emigra di meno, ma si emigra soprattutto in Germania.
La seconda sera sono andata in un locale un po' defilato rispetto alle vie stracolme. Al tavolo accanto al mio un uomo e una donna sui sessant'anni parlano molto animatamente. Lei sembra prendere bonariamente in giro il suo amico, che indossa un cappellino da baseball e una camicia stampata con il disegno della bandiera americana. Entrambi bevono birra.
A giudicare dalle poche parole che avevo imparato a riconoscere, l'accesa discussione ha come tema la politica, in particolare il referendum che si è appena tenuto, indetto per chiedere al popolo se voleva le dimissioni del Presidente Basescu. Quella sera sarebbero stati resi noti i risultati.
«Gheorge è pro-referendum,» mi svela Sofia quando abbiamo già cominciato a parlare da un po' «è un comunista! Secondo lui» mi spiffera in inglese «Basescu fa schifo e deve essere mandato a casa. Io invece penso che stia lavorando per abbattere la corruzione e che proprio per questo il parlamento lo voglia togliere di mezzo! It's a shame! Pensa che la corte costituzionale in un primo tempo non lo aveva considerato valido questo referendum, ma poi i membri sono stati addirittura sostituiti... Unbelievable!» Secondo Sofia, di origine tedesca come tanti qui, sicuramente ci sarebbero stati brogli perché il popolo è dalla parte di Basescu. «Tanti prezzolati andranno a votare più di una volta senza farsi timbrare la tessera, con la scusa che siamo in estate e stanno in vacanza lontano da casa!» Gheorge ribatte convinto: «Non è vero che il Presidente sta combattendo la corruzione e poi il turismo elettorale non esiste! Non possono mica impedire che gli timbrino la tessera!» È per questo che i due amici stavano discutendo da un pezzo. Io per fortuna rappresento una valida scusa per giungere ad un armistizio. Gheorge, pazzamente innamorato dell'Italia, man mano che il suo livello alcolico si alza, proferisce sempre più ardite frasi d'amore in italiano e sempre più stonate citazioni di impresentabili cantanti.
Sofia, che voleva chiacchierare con me senza noiose interferenze, a un certo punto saluta il suo amico italofilo, mi chiede di accompagnarla («Andiamo nella stessa direzione!») e, tirando un sospiro di sollievo, mi fa: «Ce ne siamo liberate! È tanto un buon amico, ma quando si parla di politica diventa noioso». Mi offre un Amaretto di Saronno e intanto mi racconta di quando faceva l'insegnante di sostegno: «I rom hanno delle quote a loro riservate, ma non hanno molta voglia di studiare e così tolgono il posto a chi vorrebbe studiare con profitto» si lamenta. Infine mi parla dei suoi figli: uno vive all'estero, l'altro ha una fidanzata “gallina” e lavora nel web.
Alle due di notte, mentre torno alla mia pensione, la mia delusione per fortuna si è dissolta.
Un autostoppista
Anche quel giorno era molto caldo a Brasov e avevo deciso di fare un paio di escursioni. Arrivare a Rasnov non era stato difficile: ero andata all'autogara ed avevo pazientemente aspettato il primo microbus che si fermasse nei paraggi di questa cittadella. In effetti l'autista − su consiglio di una anziana passeggera consulente − mi aveva lasciato nel posto più vicino alla fortezza medievale, che si poteva raggiungere camminando sul bordo di una strada a scorrimento veloce per circa una mezz'oretta.
Dopo aver visitato i resti di questo castello con vista sulle aride campagne circostanti, in compagnia di diverse famiglie in gita domenicale, ero tornata nel centro e lì avevo cercato la fantomatica stazione degli autobus; finché avevo capito che non era una stazione, ma un posto da dove i minibus passano.
Giusto in quel punto c'è un autostoppista in mezzo alla strada. Suda copiosamente ed è anche un po' stufo, ma quando scopre la mia provenienza si illumina tutto: «Se mi offrissero un lavoro adesso, tornerei di corsa in Italia a lavorare», annuncia sorridendo, «Quando stavo a Rimini a fare il cameriere mi sono trovato benissimo. È un bellissimo Paese il vostro!» Il tipo sta cercando disperatamente un passaggio per andare a Piteşti e mi dice che posso aspettare con lui, visto che Bran si trova nella stessa direzione. Mantenendo fisso lo sguardo dalla strada, senza smettere di muovere il braccio teso su e giù, mi racconta un episodio che gli era accaduto in Italia: aveva comprato un'auto usata che in realtà era rubata e stavano per metterlo in galera perché il proprietario dell'auto l'aveva riconosciuta. Poi, alla fine, si era risolto tutto per il meglio ma era stata una gran seccatura. Ciononostante non aveva perso la fiducia nei confronti dei miei connazionali.
A un certo punto la sigla del Tg5 interrompe la nostra conversazione. Meravigliata, lo osservo mentre controlla l'sms appena ricevuto: «Ah ah, ti piace? Un amico mio italiano mi ha mandato questa suoneria!» Comunque devo dire che non mi ero sorpresa più di tanto perché molti rumeni hanno delle suonerie a volume altissimo e del tutto fuori luogo, per esempio ho sentito con le mie orecchie certi settantenni con la suoneria di brani brasiliani da discoteca oppure di neonati che piangono.
Per onor di cronaca, devo dire che all'autostoppista non è andata bene perché l'unico che si è fermato andava nella mia direzione ma non nella sua. Dunque sono salita in macchina e l'ho salutato per sempre.
Una famiglia tedesca
La gente del mondo / Che ti ama o non ti ama / È la stessa / Basta una luce negli occhi / Per capirlo
Bevo con gli sconosciuti / Ogni sera.
(Ivano Fossati, "Last minute")
Anche noi viaggiatori indefessi abbiamo il nostro giorno critico. Quando le gambe ti fanno male, non sopporti più il caldo, poggi lo zaino sull'ennesimo letto e ti chiedi che senso abbia tutto ciò. Una giornata così mi è capitata a Sibiu. La capitale europea della cultura del 2007 è stata completamente restaurata, i palazzi del centro storico sono tutti colorati e i tetti hanno gli occhi: finestre a fessura gemelle, se non tre per tetto. Le piazze sono ampie e scenografiche, quella più grande solcata da fontane a sorpresa, i turisti tanti ma non troppi, le bancarelle presenti ma non invadenti. Una città da visitare in mezza giornata. Alle sei di pomeriggio avevo già percorso tutte le strade percorribili, fotografato il fotografabile, acquistato uno o due souvenir; mi ero seduta al tavolino di un bar sulla strada del passeggio e avevo detto basta.
Alle 19.30 entro in questo ristorante tipico consigliato dalla Lonely Planet. Le panche in legno presentano tipici decori transilvani, gli arredi comprendono ceramiche, centrini e tessuti ricamati. L'atmosfera è raccolta e raffinata, il violinista e il fisarmonicista tipici suonano, ed è bello constatare che mentre suonano sorridono. Visto che continuano ad entrare persone mandate indietro perché il locale è pieno, comunico al cameriere che avrei volentieri condiviso il tavolo con perfetti sconosciuti.
Ho già ricevuto il mio piatto a base di montone quando entra questa famigliola tedesca che timidamente occupa i tre posti liberi. La timidezza dura pochi minuti, il tempo di bere i primi sorsi di birra scura. Poco dopo io e la signora bionda di origine rumena entriamo in confidenza e cominciamo a fumare lo stesso tabacco. Alla prima ţuica mi racconta che è scappata dalla Romania quando aveva 16 anni. Alla seconda ridiamo come vecchie amiche; alla terza ţuica pagano il conto anche per me e usciamo ballando dal locale, mentre la figlia quattordicenne alza gli occhi al cielo, chiedendosi perché il destino le avesse riservato una mamma così matta.
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