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INDIA PER PRINCIPIANTI

Viaggio in Maharashtra, Karnataka e Goa

Mumbai - Aurangabad - Karnataka - Goa - Immagini - KeralaPiccolo Me

Una piccola guida per i principianti dell'India, destinati ad innamorarsene o a detestarla irrimediabilmente. Un'introduzione ad alcuni curiosi costumi indiani, ma anche alla conoscenza delle località più interessanti del Maharashtra, del Karnataka e del Goa.

L'odore dell'India

Sono le prime ore della mia presenza in India, e io non so dominare la bestia assetata chiusa dentro di me, come in una gabbia.
(Pier Paolo Pasolini, "L'odore dell'India")

Quando arrivi in India, vieni subito avvolto dall'odore di India: una conturbante miscela di gas di scarico, spezie, frutta in decomposizione, merda bovina e legno bruciato. A seconda se lo catalogherai istintivamente come un profumo o come una puzza, si capirà se rientri nella categoria degli amanti dell'India o in quella dei suoi detrattori. Coloro i quali la disprezzano, oltre all'odore, non sopporteranno altre tipiche peculiarità indiane, ad esempio la polvere, i clacson continui, l'ambigua gestualità, la burocrazia, il fatto di essere continuamente fissati dalla gente. L'India non è un semplice Paese, bensì una disposizione d'animo.
Quando fuoriesci per la prima volta da un aeroporto dell'India del Sud, ti accoglie subito il noto clima tropicale. Ad esempio, mentre a casa tua non solo iniziano i primi freddi ma oltretutto sono tutti impegnati a comprare i regali di Natale, qui se ne vanno in giro con le ciabatte e le magliette a maniche corte (e alcuni anche senza), felici che in questa stagione non piove praticamente mai. Quando invece a casa tua è estate piena, in India ci sono i famosi monsoni, le temperature sono elevatissime e l'umidità paurosa. In ogni caso, il caldo che ti accoglie in inverno nell'India del Sud è un caldo clemente e delicato − e in molte zone, soprattutto di sera, neanche tanto caldo.

BOMBAY: LA PORTA DELL'INDIA

L’India è inesauribile. Ci si va sempre per la prima volta. O per l’ultima.
(Alberto Moravia, "L'esperienza dell'India")

Poniamo che tu abbia preso un aereo per Bombay (ribattezzata da alcuni anni Mumbai in un tardivo impeto nazionalista). Intanto, se hai atterrato di giorno hai potuto osservare delle immense baraccopoli, alcune delle quali confinano con la pista di atterraggio. Sono gli slum per cui Bombay è giustamente rinomata, co-protagonisti di un celebre film dal titolo The millionaire, che però non tutti lì a Bombay hanno apprezzato − non hanno capito infatti perché, invece di matrimoni e balletti, uno in un film debba inserire delle antiestetiche bidonville
L'aeroporto dista dal centro di Mumbai circa 25 chilometri: se durante la notte con 40 minuti te la cavi, di giorno i tempi possono tranquillamente dilatarsi all'infinito in un serpentone di auto e taxi, tre ruote criminali e biciclette sovraccariche, vecchi autobus londinesi a due piani e pullman indiani a un piano, motorette scoppiettanti e camion lisergici, i quali, indistintamente, pregano gli automobilisti a caratteri cubitali ("HORN PLEASE") di suonare il clacson. Il tassista potrebbe chiederti di fare il “sea link”, ovvero il ponte che collega la zona di Bandra con la parte sud della città, e tu potresti inizialmente pensare che si tratti di un modo per estorcerti un po' di rupie, prima di realizzare che attraversare l'avveniristico ponte richiede il pagamento di un pedaggio − che tra l'altro è il motivo per cui è innaturalmente deserto. Quando in India vedi una cosa moderna e deserta ti viene spontaneo pensare che non sembra India.

Facilmente avrai prenotato un hotel dal nome altisonante come Chateau Windsor Hotel oppure Queen Victoria Resort aspettandoti una struttura signorile, e invece avrai trovato ad accoglierti un fatiscente palazzo a più piani che giace in stato di semi-abbandono. È un'usanza tipica dell'India, voglio dire ai principianti, chiamare tipo Royal Chicken Center un sottoscala dove spennano i polli, oppure Krishna Time House un bugigattolo dove aggiustano gli orologi rotti.
In hotel ci lavora un mucchio di persone, che spuntano da ogni dove come gli Umpa Lumpa. C'è quello che ti dà il benvenuto ("Goomoning ma'm"), quello che ti indica l'ascensore, quello che pigia il tasto del quinto piano, quello che ti accoglie fuori dall'ascensore, quello che ti guida nella reception. Nella reception ce ne sono altri 7: uno scrive i tuoi dati su un librone preistorico, gli altri sono impegnati in loro personalissime faccende. In camera ti accompagnano in tre: uno ti porta la valigia, uno torna con gli asciugamani, uno ti dà la password del wi-fi (che non funziona). Quando esci ce n'è uno che pulisce per terra, uno che ti indica l'ascensore, uno che ti fa entrare, uno che pigia il tasto del piano terra, l'altro che apre la porta quando sei arrivato, uno che ti saluta ("Goodbye ma'm"), l'altro che ti vuole chiamare per forza il taxi. Insomma, in India non ti senti mai solo.
Per raggiungere il famoso Gateway of India, probabilmente non potrai evitare di costeggiare l'immenso parco chiamato Oval Maidan, dove giocano a cricket. Noterai edifici storici come l'High Court e l'Università, ma ciò che ti colpirà di più sarà la vita che pullula in ogni dove: i venditori di giganteschi palloncini a forma di lampadina e quelli di cartoccetti di arachidi, gli addetti alla spremitura della canna da zucchero, gli operai in equilibrio sui ponteggi di legno e corda e quelli che distribuiscono l'acqua potabile, i guardiani dei parcheggi che dormono sul posto di lavoro. In India è impossibile annoiarsi, c'è sempre qualcosa di assurdo, ridicolo, tenero e colorato che attira l'attenzione del principiante.

Al Gateway of India, l'imponente arco di trionfo costruito dagli inglesi circa un secolo fa a due passi dal mare Arabico, c'è sempre un'immensa e variopinta folla di turisti. Sicuramente anche tu verrai molestato da questi omini che ti vogliono fotografare mentre sembra che tocchi la cima del noto monumento oppure del suo dirimpettaio, il superlussuoso hotel Taj Mahal, grazie ad un'originale prospettiva ottica (non temere, la stampante la tengono nella borsa). Inoltre verrai sicuramente braccato da un tizio vestito di bianco che ti legherà un cordino al polso e ti segnerà la fronte con una ditata di polvere colorata, svelandoti che in quella giornata cade la festa di Visnù, o altro dio a scelta. In India non sai mai se quella folla è lì per festeggiare una festa religiosa particolare oppure se è il quotidiano tran tran.
Mentre passeggi nei paraggi può essere che sarai attratto dal bar Leopold, perché (oltre a schierare in vetrina appetitose torte) da fuori ti sembrerà meno indiano degli altri e infatti, dopo essere stato sottoposto ad un fugace controllo della borsa col metal detector, ti siederai al tavolo e scoprirai di essere circondato da turisti muniti di Lonely Planet.

Rinfrancato da una birra Kingfisher e da qualche ancora ignota cibaria fritta, sarai pronto per raggiungere Victoria Terminus (che oggi si chiama Chhatrapati Shivaji), una delle stazioni ferroviarie più affollate dell’India. A parte lo stile neogotico-vittoriano, a parte gli elementi veneziani ed indiani, a parte i legni intagliati, le ringhiere in ferro battuto, le griglie per le biglietterie, ciò che ti colpirà maggiormente saranno i passaggi metal detector stile aeroporto sotto i quali tutti passano anche se palesemente non funzionano. Noterai che i treni hanno gli scompartimenti per signore (infatti visi di donna con foulard sono disegnati sul vagone), che molti di essi viaggiano con le porte aperte e che i binari pullulano di roditori. In India non è mai una buona idea guardare con troppa convinzione per terra.
Quando vorrai raggiungere un posto troppo lontano per andare a piedi, dovrai salire su un taxi oppure su un tre ruote, in molti casi personalizzato con tendine e carta da parati. L'esperienza potrebbe essere divertente oppure traumatica (a seconda della categoria a cui appartieni) e comunque a Mumbai, nelle ore di punta, è più probabile che sia traumatica. Certo, anche affrontare certe strade a piedi prevede una certa quantità di rischi, soprattutto se hai la malsana idea di attraversare una strada.
A Mumbai per esempio con il taxi puoi andare al Dhobi Ghat (una gigantesca distesa di vasche dove si lavano a mano i vestiti di tutta la città), al piccolo tempietto Jain su Malabar Hill, o a Dharavi (un tempo conosciuto come lo slum più grande d’Asia). Oppure puoi andare nella più vicina spiaggia di Chowpatty, meta affollata soprattutto nel tardo pomeriggio, quando non di rado si possono ammirare solenni tramonti tra i grattacieli. Per raggiungerla in effetti sarebbe preferibile una bella passeggiata sul lungomare, come fanno molte coppiette sognanti. Lungo la strada potresti imbatterti in una festa di matrimonio, cosa non improbabile perché gli indiani, prima di entrare nel ristorante o tendone o salone prescelto per il ricevimento, usano cantare, ballare e suonare fuori dall'ingresso. In quel caso potrai gustarti le eleganti mise, tenere il ritmo dei tamburi e della trombe, e se sei fortunato anche assaggiare un drink analcolico o un dolcetto. In India è sempre preferibile andare a piedi.

AURANGABAD: UNA STORIA MILLENARIA

... un popolo che usa la stessa parola per dire "ieri" e "domani", non si può dire che abbia un solido controllo sul tempo.
(Salman Rushdie, "I figli della Mezzanotte")

Se stai cercando una destinazione non troppo distante da Bombay, e nutri uno spiccato interesse per l'affascinante e millenaria storia indiana, Aurangabad fa al caso tuo. La città in sé non è niente di speciale, ma rappresenta un'ottima base di partenza per visitare alcune delle maggiori attrazioni turistiche dello Stato del Maharashtra. Fu il controverso imperatore moghul Aurangzeb, nella seconda metà del 1600, a darle il nome; la città però fu capitale soltanto per pochi decenni, prima che la corte fosse trasferita ad Hyderabad in seguito alla morte del sovrano stesso.
A testimonianza di questo seppur fulmineo momento di gloria, nella periferia della città si erge il Bibi-Ka Maqbara, una copia in versione povera del Taj Mahal. Questo mausoleo fu commissionato dal figlio di Aurangzeb in memoria di sua madre, cercando appunto di emulare il capolavoro fatto realizzare ad Agra da suo nonno Shah Jahan per l'amata seconda moglie, alias la madre di Aurangzeb (per entrare nell'edificio e recare omaggio ai resti mortali di Rabia Daurani devi fare i conti con una tremenda puzza di piedi).
Se non hai avuto modo di visitare il vero Taj Mahal, probabilmente non ti accorgerai delle differenze. In realtà, anche se l'architetto che ha progettato l'opera era il figlio del principale artefice del mausoleo di Agra, tutti dicono che il risultato non può assolutamente competere con l'originale (interamente realizzato in marmo bianco): l'intransigente Aurangzeb infatti si rifiutò di dilapidare tutti i soldi rimasti in cassa e optò per materiali meno pregiati. L'intollerante imperatore infatti non solo era il sostenitore di una linea di condotta economica piuttosto spartana, ma oltretutto era solito sperperare tutti i soldi del tesoro reale in guerre di espansione. Anche la semplice tomba in cui fu seppellito rispecchia la sua sobrietà, e soprattutto riflette il rigido rispetto per l'osservanza della legge islamica che egli aveva simpaticamente imposto a tutta la popolazione. Questa umile sepoltura la puoi visitare da queste parti, a Khuldabad, ma sarai soggetto all'estorsione di numerose mance.

Sempre in città ci sono delle grotte buddhiste, ma io ti consiglio di lasciartele per ultime. Visitale solo nel caso (improbabile) in cui non ne avrai ancora abbastanza dopo aver visitato le ben più prestigiose grotte di Ajanta e quelle di Ellora (che non a caso sono inserite nel patrimonio dell'umanità dell'UNESCO).
Comincia dalle Grotte di Ajanta, che sono più antiche (furono realizzate all'epoca dell'impero Gupta, tra il secondo e il sesto secolo), anche se per la maggior parte della loro esistenza sono state ricoperte dalla vegetazione e dimenticate dall'umanità (pare sia stato un ufficiale britannico a scoprirle, all'inizio dell'Ottocento, durante una caccia alla tigre). Si tratta di una sorta di monastero buddhista composto da una trentina di sale di forma rettangolare o quadrata, scavate una di seguito all'altra nella parete di questa gola a forma di U. Il punto di forza del sito sono i murales in stucco colorato che decorano muri e soffitti, considerati i resti delle pitture buddhiste più antiche e meglio conservate al mondo. Nel tuo giro osserverai anche numerose statue del Buddha, in varie posizioni ma soprattutto in quella tipica della preghiera, rinchiuso dentro a una celletta oppure in uno stupa. Gli ambienti sono piuttosto bui e se non ti porti la torcia non vedrai granché; inoltre ogni volta che entri ti devi togliere le scarpe ("a tuo rischio"). Se non puoi o non vuoi percorrere tutta la gola, esiste un comodo servizio di portatori con sedia (e secondo me questo ti risolve anche il problema di toglierti e metterti le scarpe).
Fatti coraggio: a Ellora di grotte scavate nella roccia ce ne sono altre 34, solo che qui, oltre ai monasteri buddhisti, ci sono templi induisti e giainisti. Le grotte buddhiste sono molto simili a quelle di Ajanta, anche se più grandi e lievemente più tarde. Ma è tra le opere induiste, realizzate tra il settimo e il nono secolo secondo i dettami dell'arte Chalukya, che troverai il cosiddetto monumento "da non perdere": la mitica Kailasa, un tempio gigantesco dedicato a Shiva costruito spolpando letteralmente con lo scalpello un pezzo di montagna. Le grotte del gruppo giainista si trovano un po' distaccate rispetto alle altre: se non hanno ancora riparato il pezzo di parete crollata che impedisce il passaggio a piedi, devi fare tutto il giro. I giainisti sono quegli stravaganti che vanno in giro con una mascherina sulla bocca e con una scopa in mano, per evitare di fare del male anche al più minuscolo degli esseri viventi.
Il fatto che i monasteri buddhisti di Ajanta siano stati costruiti sotto i sovrani Gupta, solidamente induisti, e che religioni diverse convivessero con tanta facilità gomito a gomito, non ti sorprenderà se già sei stato informato della proverbiale tolleranza religiosa indiana di un tempo (precedente ad Aurangzeb, si intende). Fai conto che mentre in Europa a quell'epoca per questioni di lana caprina si veniva accusati di eresia e perseguitati, qui in India la stabilità politica e la prosperità economica condussero ad un notevole sviluppo, non solo architettonico e artistico, ma anche letterario, scientifico e perfino nell'arte della guerra. Mentre in Europa l'Impero Romano era agli sgoccioli e ci si preparava a molti secoli di decadenza, qui venivano elaborati i concetti dello zero e di infinito, erano stati inventati i cosiddetti numeri "arabi", era già stata calcolata correttamente la durata dell'anno solare e la Terra già ruotava intorno al suo asse.

Visto che ti trovi, non ti perderai di certo la visita al forte di Daulatabad, una delle fortezze medievali meglio costruite e meglio conservate al mondo: troneggia su una collina sin dal dodicesimo secolo. Le difese strategiche sono così robuste ed efficaci che gli storici si sono sempre chiesti cosa cavolo avessero da proteggere là dentro. In realtà poi non si è capito se sono stati invasi veramente, oppure se il sito fu abbandonato perché venne a scarseggiare l'acqua. Ciò che è certo però è che qui fu trasferita in massa l'intera popolazione di Delhi (distante più di mille chilometri), secondo il folle piano del sultano Tughlaq che si era messo in testa di spostare qui la capitale.
Il cuore della faccenda è il palazzo di Baradari, che sta in cima ad uno sperone roccioso. Per arrivarci, non solo devi percorrere sette linee di difesa e porte a tenaglia, non solo devi inginocchiarti di fronte alla statua della Madre India, non solo devi salutare stringendo la mano centinaia di bambini in gita, ma sei anche costretto a percorrere al buio una serie di temibilissimi passaggi segreti sotterranei: se all'epoca gli eventuali incursori rischiavano di ricevere un caldo benvenuto consistente in olio bollente o braci ardenti, oggi rischi una non meno spiacevole accoglienza a base di cacca di pipistrelli, di cui i cunicoli sono letteralmente infestati. Se giungi illeso nel palazzo e ti affacci dalla bianca terrazza o dall'arabeggiante porticato, potrai ammirare un bellissimo panorama sulla vallata e sulle rovine delle mura.

Il tempio di Grishneshwar si trova a metà strada tra il forte di Daulatabad e le grotte di Ellora ed è uno dei dodici templi di tutta l'India che custodiscono il radioso linga, ossia questo attributo devozionale che rappresenta il dio Shiva. Il tempio fu costruito nel Settecento sotto il patrocinio della regina Ahilyabai Holkar, la cui famiglia amava scialacquare l'ingente patrimonio in suo possesso per costruire templi in tutto il Paese. Molte leggende sono legate a questo tempio, come quella della devota Kusuma, il cui rituale (che consisteva nell'immergere lo shivalinga in una tanica d'acqua) fece resuscitare il figlio precedentemente ucciso dalla prima moglie di suo marito.
Essendo un'antica destinazione di pellegrinaggio, non ti sorprendere se, una volta tolte le scarpe e varcato l'ingresso, troverai davanti a te centinaia di persone colorate in ordinata fila a serpentina i quali, muniti di vassoi pieni di fiori e frutta, aspettano pazientemente di entrare. Dopo questa lunga attesa (durante la quale ovviamente verrai guardato insistentemente e indicato da quasi tutti i fedeli in fila), poco prima di entrare, noterai che gli uomini si tolgono la maglietta ed entrano a torso nudo. Nella stanza interna, mentre girerai intorno allo Shivalinga insieme agli altri, la cerimonia, tra incensi, fiori e banconote svolazzanti, acquisterà un'inquietante piega perché tutti cominceranno a gridare ed emettere strani versi. Uscendo dalla stanza, incontrerai la statua di Nandi, la vacca inseparabile compagna di avventure e mezzo di locomozione prediletto da Shiva.

Decido di uscire dall'albergo per andare a cenare in un ristorante. Percorro una lunga arteria stradale al solito priva di marciapiedi, schivando imprecisate caterve di rifiuti e occasionali cadaveri di topi. Sono tirata dentro a un paio di templi arancione fosforescente o giallo banana, dove partecipo alla puja, cioè per esempio accarezzo un Ganesh e ne ricavo uno sbaffo sulla fronte e anche una doccia di acqua indù. Qualcuno mi invita pure a spartire il suo misero piatto di riso nel buio anfratto di un'edicola votiva.
Giunta sulla via della stazione, dove sono posizionati la maggior parte degli hotel e dei ristoranti, vengo attirata da un enorme tendone illuminato a giorno da plafoniere da stadio. La curiosità mi conduce all'ingresso dove vedo un gruppo di uomini in jeans che indossano un turbante rosso, donne in sari dai variopinti colori con fiori freschi intrecciati nei capelli, un cavallo bianco che procede verso l'ingresso del tendone con a cavalcioni quello che si suppone essere lo sposo. Mentre osservo il procedere degli eventi, comincio a socializzare con alcuni degli invitati. Si dà il caso che alcuni tra i parenti più stretti dello sposo mi invitino alla cerimonia. Io mi vergogno un po' del mio abbigliamento turistico composto da pantaloni sformati, calzettoni non coordinati, scarpe da trekking e borsa turistica lurida a tracolla, ma confido nel fascino esotico che emano.
Dentro il gigantesco tendone mi accolgono dei camerieri che mi offrono un drink alla frutta e delle deliziose frittelline di verdure. Tutti mi sorridono e mi danno il benvenuto. Lo zio dello sposo mi guida in un tour tra i tavoli del buffet e mi illustra con dovizia di dettagli i vari cibi. Diciamo che trascorre quasi tutta la serata con me. La mia iniziale timidezza si dissolve man mano che procedo tra i tavoli e noto che tutti mi invitano a servirmi. Dopo aver mangiato anche il dessert (uno squisito semifreddo col bastoncino al gusto crema pasticcera e cardamomo) comincio a meditare la fuga, quando vengo braccata dai fratellini della sposa e dal cognato che mi pregano di salire sul palco a fare la foto con gli sposi. Ormai il mio pudore si è dileguato, do la mia macchina fotografica al fotografo ufficiale che immortalerà per sempre gli elegantissimi sposi in compagnia di una turista malvestita mentre sorride su un palco illuminato a giorno sotto ad un coreografico tendone da circo. Gli sposi mi ringraziano per aver partecipato alla festa, io gli auguro la migliore delle vite e buon viaggio di nozze a Singapore e me ne vado tra selve di mani di invitati che vogliono stringere la mia gridando Thank you goodbye.

KARNATAKA, IL NUOVO PARADISO DEI VIAGGIATORI

In India non c'è che il clima, cara mamma: è l'alfa e l'omega di tutta la questione.
(E.M. Forster, "Passaggio in India")

Il Karnataka sta diventando uno degli Stati indiani preferiti dal turismo internazionale. La natura tropicale (trionfante), le immense spiagge (incontaminate), le bellezze architettoniche (mozzafiato) ti conquisteranno al pari della cucina, dell'artigianato e delle antiche usanze: molte donne ad esempio vestono ancora con l'abito tradizionale decorato con lustrini a specchietto e ricami e si adornano con enormi monili d'argento, compreso un immancabile gigantesco anello da naso.
Tra le attrazioni del Karnataka settentrionale si annoverano ad esempio i mausolei della città di Bijapur. L'Ibrahim Rauza fu fatto realizzare dal sultano seicentesco Ibrahim Adil Shah II per sua moglie, ma per ironia della sorte il primo a finirci dentro fu lui stesso (morto prima della sultana). Il coevo Gol Gumbaz invece è la tomba del sultano Muhammad Adil Shah (& family) ed è famoso per la sua imponenza (la cupola centrale è la seconda più grande del mondo dopo quella di San Pietro a Roma) e per le sue caratteristiche acustiche: tutto intorno al perimetro interno della cupola infatti, ad un'altezza di più di trenta metri dal suolo, si sviluppa la cosiddetta "galleria dei sussurri", dove anche il minimo suono può essere distintamente ascoltato nel punto opposto. Ora purtroppo la notizia di questa singolare caratteristica è giunta anche nelle lande più remote del paese, dunque i nutriti gruppi di turisti che percorrono la galleria fanno un casino indescrivibile che ti renderà impossibile verificare tale prodigio. Molti altri edifici testimoniano l'antica storia di questa città a maggioranza musulmana; invece per verificare la cordialità e la semplicità della sua gente basta passeggiare per le vie e per i mercati.

Se stai visitando il Karnataka, oppure sei nel Goa, ti direi di non perderti la visita ad Hampi, una distesa di rovine risalenti al XVI secolo disseminate intorno al minuscolo villaggio di Hampi Bazaar, il tutto circondato da un paesaggio naturale metafisico, anche se tutti dicono che Hampi non è più quella di una volta.
Sicuramente il tuo arrivo non passerà inosservato per i procacciatori turistici, i quali ti braccheranno istantaneamente per aiutarti a cercare una sistemazione per la notte (le guest house qui hanno l'usanza di non concedere prenotazioni). Trovata la camera, ti proporranno un tour dell'area da effettuarsi sul classico tre ruote: sicuramente è il modo più rapido per visitare la maggior parte dei monumenti, solo che rischi di sorbirti tutta la storia del Ramayana raccontata in anglo-hindi da qualche zelante conducente. Vedi tu.
Un tempo questa era la capitale dell’ultimo grande regno hindu dei governanti Vijayanagara, e ci viveva tipo mezzo milione di persone. Tutto sembrava andare per il meglio, finché i soliti screzi con i regni vicini portarono gradualmente al declino (risollevato di recente soltanto grazie al turismo, e ciò spiega l'invadenza dei procacciatori locali). In ricordo di quei tempi, al centro di Hampi Bazaar si erge il Virupaksha Temple (con la sua svettante torre), che è ancora in uso: frotte di pellegrini accorrono ogni giorno, e quelli che vi arrivano di sera, si accampano nel cortile. La mascotte di questo tempio dedicato a Shiva è la povera elefantessa sacra Lakshmi; di minore importanza le colonie di scimmie. Gli altri templi non sono più usati per funzioni religiose, ma al massimo per girarci dei film, e sono sparsi per la vallata insieme a palazzi e opere architettoniche varie. Il più noto è il Vittala Temple, nel cui cortile è presente un maestoso carro di pietra, dotato di ruote che un tempo giravano veramente. Ti consiglio di raggiungere le postazioni panoramiche (come la collina Hemakuta) all'ora del tramonto, quando le rocce dorate levigate a forma di grossi semi accatastati acquisteranno un colore dorato, proiettandoti immediatamente dentro a un quadro di De Chirico. Se sarai fortunato, un losco figuro col corpo dipinto e la lancia in mano si presterà come congruo elemento umano nelle tue foto.

Ad Hampi Bazaar si respira quella rilassatezza balneare tipica delle località di mare asiatiche, senza però il mare. Tutti i turisti sono vestiti con pantaloni larghi e bluse senza colletto in cotonaccio colorato. Tra le stradine abbondano i finti sadhu che chiedono soldi per scattargli una foto e i negozianti di paccottiglia che implorano continuamente di acquistare qualcosa. I ristoranti sono terrazze dotate di lume di candela e incensi, con tavoli bassi e relativi cuscini su cui sedersi a bere salutari succhi e frullati di frutta tropicale (qui è vietato consumare carne e alcolici).
I turisti che visitano Hampi sono obbligati a registrarsi al locale posto di polizia, come avvertono i regolamenti appesi ovunque. Immagino che la procedura non sia dissimile da quella con la quale ci si registra negli hotel, dove ti danno un form da compilare senza verificare se ti chiami davvero Paolino Paperino, provieni da Gotham City e viaggi con la tua amica Marilyn Monroe. La motivazione è logicamente burocratica come al solito: le guest house, i ristoranti, i negozietti e le agenzie turistiche di Hampi Bazaar si ammassano esattamente dentro il sito archeologico. Per questa ragione è importante che i visitatori seguano le regole locali e che non si dedichino a risse da bar tipicamente occidentali e, allo stesso tempo, che siano protetti dalla polizia nel caso si perdessero o fossero attaccati da pericolosi animali selvatici.
Tutti quelli che sono stati ad Hampi ci sono stati troppo poco e consigliano di passarci più giorni. Al posto tuo seguirei il loro consiglio, anche se temo che una maledizione colpirà anche te e che poi ci rimarrai giusto un paio di giorni come tutti noi.

Molto probabilmente anche tu raggiungerai il fiume Tungabhadra soltanto dopo aver sbrigato tutte queste faccende cultural-turistiche. A quel punto scoprirai che il suddetto fiume è sacro e dunque usato come scenario per affascinanti ed esotici riti che attireranno la tua curiosità di principiante dell'India. A parte il bagnetto dell'adorabile elefantina alle 8 del mattino, durante il giorno potrai osservare un mucchio di persone che lavano i loro panni e li stendono sul prato ad asciugare, oppure si fanno direttamente il bagno, più o meno vestiti. Nelle adiacenti scalinate in pietra, dette ghat, scorgerai uomini a torso nudo che trafficano con tortini di riso e pentolini di rame. La faccenda a me l'ha spiegata un bancario pelato in pareo bianco ancora umido: nella tradizione hindu, tredici giorni dopo la cremazione del cadavere (quando i parenti di sangue sono considerati ritualmente puri), le ceneri vengono disperse in un fiume sacro, oppure nell'oceano. Si tratta di uno degli aspetti più importanti della cerimonia funebre, il cosiddetto shraddha, che viene poi ripetuto ad ogni anniversario della scomparsa del parente.

Dopo aver attraversato il fiume sacro Tungabhadra con una barca a motore sovraccarica, scoprirai una località molto meno angusta e più scevra di rompipalle, fitta di serenissimi bungalow e ampi giardini fioriti, dove impazzano i corsi di yoga e di massaggi ayurvedici, piena di palmeti, bananeti e risaie dove passeggiare alla ricerca di templi antichi nascosti nella fitta vegetazione. Purtroppo però avrai già prenotato il tuo viaggio di ritorno, pressato dagli invadenti procacciatori, e a Virupapur Gaddi ti riprometterai di tornare in un futuro imprecisato.

GOA: UN LUOGO COMUNE

Andare a Goa, perché? I perché sono molti, tutti indefinibili, quasi inconfessabili; parlano soltanto alla mia intima nostalgia di sognatore vagabondo. Perché Goa non è ricordata da Cook, né da Loti, perché nessuna società di navigazione vi fa scalo, perché mi spinge verso di lei un sonetto di De Heredia, indimenticabile, perché pochi nomi turbavano la mia fantasia adolescente quanto il nome di Goa: Goa la Dourada.
(Guido Gozzano, "Verso la cuna del mondo. Lettere dall'India")

Per Capodanno, confluiscono nel Goa vagonate di maschi da tutta l'India. La spiaggia di Calangute, che va avanti per chilometri prima di trasformarsi nella spiaggia di Baga, è un formicaio di giovani indiani, tutti in camicia e pantaloni, molti dotati di smartphone, giunti appositamente fin qui per bere alcolici a prezzi abbordabili e fare uso di droghe, più o meno leggere. Anche perché, trovare una donna che gliela dia (indiana oppure occidentale che sia) è un'opzione da non tenere manco lontanamente in considerazione. Il risultato è che molti di loro eccederanno nei beveraggi e/o nelle sostanze psicotrope e si ridurranno in condizioni penose. A causa di una mancanza di coordinamento e prospettiva d'insieme di cui ormai non ti stupirai affatto, pare che il Goa sia circondato da stati dove il consumo di alcolici, se non è vietato, viene fortemente scoraggiato da pesanti tasse: facile capire perché questo minuscolo staterello si sia fatalmente trasformato nel paradiso della trasgressione.

Anche gli autobus − ammassi di lamiera adornati di fiori freschi, peperoncini e adesivi di Ganesh e Shiva − sono un carnaio. La figura chiave sui mezzi è l'addetto allo sbigliettamento, solitamente un giovane strafatto dagli occhi spiritati che urla come un invasato e insulta i poveri indianini accalcati, e a volte fisicamente li solleva e li posiziona ordinatamente lungo il corridoio. Ti consiglio di stare molto attento a questo sinistro personaggio, in quanto anche tu potresti assistere a una scenetta simile a quella che ho visto io: una giovane vittima della dolce vita goana giaceva svenuta sulla pedana accanto al posto di guida (un passeggero a tratti gli manteneva la testa); al diabolico addetto non pareva vero di poter liberamente infierire su questo corpo esanime, così gli ha mollato un poderoso schiaffone; per fortuna il conducente, di rimando, ha avuto la prontezza di sferrare a bruciapelo una mazzata del grosso bastone di ordinanza sulla testa del suo sottoposto, grazie al quale costui ha abbassato la cresta per un po'.

Il Goa è uno degli stati indiani più ricchi e il grosso del suo PIL deriva dalle attività turistiche. Salman Rushdie, nel suo capolavoro letterario I figli della mezzanotte, lo definiva "il foruncolo portoghese sul viso della madre India": saprai già infatti che questo minuscolo stato federato affacciato sull'Oceano Indiano fu dominato per molti secoli dai portoghesi, i quali gli hanno lasciato molte chiese cattoliche, numerosi palazzi, alcune parole e quasi tutti i toponimi.
Quello che forse non sai è che oggi il foruncolo sembrerebbe aver cambiato nazionalità: la maggior parte dei turisti che lo visitano infatti proviene dalla Russia (addirittura, una delle mode delle nuove russe è venire a partorire nel Goa). Non è solo il numero dei turisti ad essere imponente ma soprattutto la misura del loro portafogli: il turismo russo è molto diverso da quello straccione e sballone che storicamente ha scelto il Goa come sua destinazione, è più arrogante e scosciato, meno naturista e per niente alternativo. Per misurare l'importanza del fenomeno basta guardare l'alfabeto cirillico con cui sono scritti i menu di tutti i ristoranti sulle spiagge e la lingua con la quale si rivolgono a te i vari lavoranti nel settore turistico prima di conoscere la tua provenienza.

Il Goa settentrionale mantiene la sua fama di località fricchettona, dove diversi residenti europei hanno scelto di vivere, almeno sei mesi l'anno (poi comincia la stagione del monsone e ci vogliono alcune dita di pelo sullo stomaco per restare). Anjuna, Vagator, Arambol, Candolim, Baga sono le località balneari più frequentate, dove si balla il goa trance nei rave party e si svolgono i mercatini, pieni di merce difettata Desigual a prezzi irrisori, diversi tipi di spezie e qualità di tè, ciondoli a forma di OM e vestiario "indiano" che gli indiani veri non indosserebbero mai. Allo stesso tempo è una regione rilassante e amena, ricca di frutta e vegetazione tropicale, dove la colonia di occidentali residenti (pizzaioli, deejay, bancarellari, baby pensionati) ti permetterà di passare il tempo in compagnia, stando alla larga dagli indecifrabili indiani. 

Naturalmente non è obbligatorio trasferirti qui, ci puoi venire anche per qualche giorno di vacanza. Le spiagge sono solitamente sabbiose e dotate di palme da cocco; appositi baracchini offrono cibo e bevande e sparano musica ad alto volume (ognuno diversa). I lettini vengono offerti gratuitamente se consumi qualcosa al bar, mentre nel pomeriggio vengono predisposte postazioni per l'aperitivo. A seconda della marea, come avviene in tutte le spiagge oceaniche, potresti trovare il bagnasciuga più o meno lontano dalla spiaggia e l'acqua più o meno piena di alghe. E comunque non è il Mediterraneo e potrebbe essere piuttosto pericoloso (stuoli di bagnini soffiano inutilmente tutto il giorno dentro al loro fischietto). Accanto ai russi che sbevazzano e alle loro compagne in minuscoli bikini, pascolano incuranti diversi esemplari di bovino, più o meno sacro.
A parte le mucche, una complicazione squisitamente interculturale potrebbe insorgere se tenti di fare il bagno in alcune spiagge indiane: mentre affronterai quei metri che ti separano dal mare, centinaia di occhi ti osserveranno e centinaia di smartphone verranno puntati verso il tuo costume da bagno. Oltre ai paparazzi, le principali categorie di seccatori annoverano i pulitori di orecchie e le donne che ti vogliono depilare col filo.

Naturalmente le spiagge, i mercatini e le feste in spiaggia non esauriscono l'offerta turistica goana, che infatti dispone di significative attrattive anche di tipo culturale. Puoi iniziare dalla capitale, Panjim, affacciata sulla foce del fiume Mandovi. Girando tra le sue stradine, fiancheggiando i palazzi piastrellati e i muri gialli, rossi e viola, avrai la netta sensazione di trovarti nei paraggi di Lisbona. Ma soprattutto resterai conquistato dalla bianchissima Chiesa di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, dotata di una meravigliosa facciata sfavillante di calce che spicca in cima alle rampe di scale (chissà quanti marinai portoghesi le hanno percorse prima di ringraziare il loro Dio per averli fatti giungere sani e salvi in India). Di chiesette dal biancore accecante ne vedrai diverse in tutto lo Stato, ma non così maestose.

Old Goa è l'antico capoluogo della regione, poi abbandonato in seguito ad epidemie di colera e malaria. Nella vecchia Goa è sepolto il leggendario San Francesco Saverio, missionario nonché patrono dello Stato. A parte la teca con i resti del santo, dentro l'affollatissima Basilica del Bom Jesus c'è un inquietante Cristo crocifisso interamente ricoperto di rivoli di sangue. Se ci capiti nel periodo natalizio, anche in questo giardino ammirerai uno di quei presepi che puoi vedere solo in India: immersi nella vegetazione tropicale, incongruamente vi campeggiano sagome di cartone a forma di Madonna, San Giuseppe, pastori e gigantesche mucche.
Altre chiese di grande bellezza sono dedicate a Santa Caterina e a San Francesco d'Assisi. Vale la pena infine arrampicarsi sulla collina dove si trovano le rovine del monastero di St Augustine. Qui avrai un'ulteriore impressione di Portogallo ("di questo medioevo europeo, di questo passato nostro, sepolto sotto un cielo d’esilio, in una terra selvaggia" avrebbe detto Gozzano) e forse vedrai giovani indiani che si fotografano fra i monconi della torre in pose bollywoodiane. Dall'alto infine scoprirai che Old Goa è collocata sulla stessa riva del fiume Mandovi, che vedrai placidamente scorrere sotto di te. Se lo segui con lo sguardo a un certo punto finirà, ma tu saprai che prima o poi arriverà all'oceano.
A questo punto del viaggio, di India ne avrai vista già un bel pezzo, e magari avrai cambiato idea su di lei. È possibile che sarai già entrato, trionfalmente, nella categoria dei suoi amanti − o, scuotendo il capo, in quella dei suoi detrattori. Ma per quanta India avrai visto, secondo me, resterai sempre un principiante.

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