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Cocktail di benvenuto

Yucatán all inclusive

Prima d'ora non avevo mai preso un volo intercontinentale, ma avevo fatto solo viaggi straccioni in Europa, caratterizzati da budget ridotti all'osso, puzza di treno e miserabili pranzi al supermercato. Nella primavera del 2001, grazie ad un valido sponsor, sono uscita per la prima volta dall'Europa per vivere la mia prima (e, fino a prova contraria, unica) esperienza di vacanza in un villaggio all inclusive ubicato in una località da cartolina, nel quale una buona parte degli umani soggiorna solo a causa di un viaggio di nozze. Nella Riviera Maya (quella porzione di costa affacciata sul Caribe messicano che segue il contorno sud-orientale della penisola dello Yucatán) da qualche anno è scoppiato un vero e proprio boom turistico, accompagnato da megalomania, lusso, camicie hawaiane e sedili per ciccioni.

AL DI LÀ DELL’ATLANTICO

Il nome Yucatán si narra derivi da Yectean, esclamazione che significa più o meno "non ho capito". Così rispondevano le popolazioni cui gli spagnoli chiedevano il nome della propria terra: Yectean, non ho capito.
(Wikipedia)

Le tredici ore di aereo necessarie per raggiungere Cancun sono state un piccolo trauma, superato grazie ad alcuni film americani e alle appassionanti immagini del planisfero solcato dall'aereo minuscolo che molto lentamente si allontanava dai familiari profili europei per avvicinarsi alle sconosciute coste centroamericane, restando per molte ore (in cui per fortuna ogni tanto mi sono appisolata) parallelo all'infinito oceano Atlantico. Per fortuna questa spiacevole circostanza è stata immediatamente dimenticata all'arrivo, eclissata da tutte le novità che si sono presentate davanti ai miei occhi.
Intanto, dopo tutti quei pranzi e cene nella vaschetta di alluminio, è sconcertante realizzare che sono ancora le sei di pomeriggio e che dobbiamo ancora cenare. Ma poi nel frattempo il pulmino ci consegna alle porte del villaggio dove questi animatori felicissimi di vederci ci accolgono offrendoci dei cocktail con la cannuccia e la fetta di arancia, e poi ci conducono nei nostri bungalow prenotati dotati di aria condizionata, attraverso sentieri orlati di piante e fiori maestosi, e il profumo è forse la cosa che più mi ha colpito, insieme al caldo umido, e infatti ho deciso di mettermi un vestitino leggero, e in pratica poi mi sono dimenticata che dovevamo cenare di nuovo. Questo finché non siamo entrati nella spaziosa villetta dove si mangia e dove ho scoperto che qualunque cosa io potessi desiderare lì c'era. Mi è salita una lieve nausea anche se, poiché è tutto gratis, non posso rifiutarmi di assaggiare almeno un boccone di qualcuna delle pietanze e comunque come minimo una birra media, perché tanto lì puoi spillartene quante ne vuoi.
La sera del nostro arrivo ci hanno messo anche il braccialetto al polso, che nel nostro caso è azzurro perché siamo italiani. In questo villaggio qui, situato a una quarantina di chilometri da Playa del Carmen, oltre a noi italiani ci sono anche i tedeschi che hanno il braccialetto grigio, i canadesi che lo hanno rosso e non mi ricordo chi che lo ha giallo (mi sembra gli spagnoli). Con questo braccialetto ogni volta che vai in un bar o ristorante, quasi a qualunque ora del giorno, ti danno da mangiare e da bere. Questa onnipotenza potrebbe determinare in alcuni soggetti una frenetica e patologica ingordigia, e anzi alla fine mi sono meravigliata di non aver visto mai nessuno che vomita seduto al bancone del bar come sarebbe normale dopo aver bevuto un numero incalcolabile di cocktail e dunque ho ipotizzato che questi barman messicani sanno il fatto loro e dunque, quando vedono qualcuno ridotto male, mettono mano a delle finte bottiglie che da fuori sembrano cachaca o gin ma in effetti sono semplice acqua.

TULUM

Va bene il mare cristallino, il sole cocente, le tortillas con salsa piccante, le palme da cocco diagonali, gli animatori che ti mettono la lingua in bocca in discoteca, ma qui siamo venuti anche per ammirare le testimonianze storiche e artistiche risalenti alla civiltà maya. La sera del nostro arrivo ho appreso che di domenica l'ingresso ai siti archeologici è gratuito, dunque senza indugio mi sono diretta a Tulum, usufruendo di un pullman di seconda classe con l'aria condizionata sparata al massimo, in compagnia di alcune galline vive e altre morte.
Tulum sorge proprio di fronte al punto dell'oceano in cui al mattino sorge il sole: oltre a donare al posto un grande fascino estetico, questa posizione costiera era sicuramente favorevole per i commerci marittimi, ma poi gli si è rivoltata contro nel momento in cui sono arrivati gli spagnoli. I poveri maya con le loro piroghine sono stati immediatamente sbaragliati dagli invasori, e proprio nel loro apogeo di prosperità. L'edificio simbolo di questo sito è il Castillo, un tempio fortificato costruito a picco sul mare. Spingendosi verso l'interno nell'aria rovente si possono visitare anche il tempio degli affreschi, la casa delle colonne, il tempio dedicato al mitico dio discendente (una divinità metà uomo e metà ape dotata di ali e di coda di uccello) e tutte le pitture e i bassorilievi che rappresentano le infinite e paradossali divinità maya. Per fortuna ci si può comodamente refrigerare con un tuffo e godere della piacevolissima brezza che soffia sulla costa. Negli anfratti strisciano le tipiche iguane, le bancarelle esibiscono amache e sombreri, sotto gli ombrelloni va per la maggiore la birra Corona. Tutto come da copione, sono felice.

CHICHÉN ITZÁ

Presso il villaggio si possono prenotare delle escursioni che di solito durano l'intera giornata, comprendono anche un pranzo e accoppiano due o tre attrazioni differenti. Ovviamente si spende qualcosa in più, ma non ci si deve sbattere a cercare un autobus sovraffollato oppure un taxi in mezzo alla statale deserta, si ha diritto ad un autobus privo di galline e ad una guida che parla la propria lingua. Per le sei si fa ritorno al villaggio, giusto in tempo per il classico acquazzone pomeridiano che annuncia le imminenti tenebre.
Per raggiungere Chichén Itzá, potentissima città maya-tolteca che dominò lo Yucatán per circa tre secoli, siamo partiti alle 6 e mezza circa, quando il sole già spacca le pietre. La guida che parla italiano si chiama Luis, è vestito di bianco e profuma di fiori. Inizialmente visitiamo la parte più recente del sito, dove si trova il suggestivo sacro cenote, un enorme pozzo destinato ad accogliere le offerte in onore di Chaac, il dio della pioggia: caucciù, giada, vasellame, oggetti d'oro, ma anche esseri umani e animali sacrificati. I cenote in epoca maya erano fondamentali perché fornivano l'acqua necessaria alla vita delle popolazioni, ma c'è anche chi ha visto proprio in questo una delle cause della decadenza della città: bere acqua in cui si sono sbriciolate ossa umane — opinò qualche eminente studioso — non fa benissimo alla salute. Poco più in là è apparso il gigantesco campo della pelota, fatto a forma di "i": questo gioco, chiamato in lingua maya "pok ta pok", era un famoso rituale legato al culto del sole, una cerimonia pericolosa in cui alla fine c'era chi perdeva letteralmente la testa. Sui muri sono incise delle scene che dovrebbero aiutare a capire come si svolgeva il gioco: la palla di caucciù poteva essere toccata soltanto con i fianchi, le ginocchia e i gomiti e dunque necessitava di enorme abilità, specialmente per centrare gli anelli di pietra che erano posizionati in alto sui muri.

Il tempio di Kukulcan o Quetzalcoatl, amichevolmente conosciuto come El castillo, è l'edificio simbolo del sito: è una piramide alta 24 metri e dotata di 4 scalinate ornate da serpenti piumati, ognuna costituita da 91 gradini, per una somma totale di 364; aggiungendo la piattaforma centrale si ottiene l’esatto numero dei giorni del ciclo solare. Le conoscenze astronomiche dei maya erano avanzatissime e li avevano portati ad elaborare un calendario di estrema precisione (poco distante c'è infatti l'osservatorio astronomico, detto caracol, da cui registravano i movimenti celesti). Tramite una scaletta ripida e umida è possibile entrare nelle budella del tempio di Kukulcan e giungere al cospetto di un altare antropomorfo e di un trono a forma di giaguaro. A partire dal Tredicesimo secolo le rivalità tra Chichén Itzá e le altre città guerriere si accentuarono, iniziò un periodo di declino e gli spagnoli al loro arrivo praticamente si trovarono nel bel mezzo di una guerra civile, cosa che non facilitò la conquista ma che non gli ha comunque impedito di sottometterli.
Per il pranzo ci portano in un ristorante circondato da un vasto giardino con palme e alberi di mango, dove veniamo allietati da una stravagante danza in cui i ballerini portano in equilibrio sulla testa un vassoio con una bottiglia di birra semipiena e dei bicchieri. Sulla via del ritorno sono previsti: 1) una sosta in un tanguis, ossia un mercatino artigianale caro come il fuoco; 2) un ragazzino grasso e bisunto che è salito sul pullman per farci fotografare un armadillo schifosissimo in cambio di denaro; 3) la visita della cittadina di Valladolid, e in particolare il suo grazioso centro di origine coloniale: durante la sosta nella piazza Parque Francisco Canton Rosado si esibiscono i danzatori concheros, dai costumi di velluto e dalle acconciature con le piume, che sembra fatta apposta, anzi ora che ci penso è sicuramente fatta apposta.

MARE E ALTRE COSE

Ovviamente il motivo principale per cui si va in vacanza in questa penisola tropicale è il mare. Peccato che il primo giorno di sole mi sia venuto un brutto eritema che mi ha impedito di mettermi in costume da bagno per tutta la settimana, e che io sia tornata in Italia bianca come un cadavere. Sono stata in maglietta a Coco Beach, nei pressi di Playa del Carmen, deserta al mattino presto, con il mare azzurro sterminato. Sono stata in maglietta a Cozumel (l'isola delle rondini), famosa per i fondali trasparenti adattissimi agli amanti dello scuba diving. Sono stata in maglietta all'Isla Mujeres, famosa per le sue spiagge. E comunque il momento indimenticabile l'ho vissuto, seppur in maglietta, alla paradisiaca isola di Contoy. Essendo una riserva ornitologica protetta, il numero dei visitatori è limitato e ci si può andare soltanto con una gita organizzata. Dunque siamo partiti da Cancun con un motoscafo pieno di altri turisti prenotati. Nel tragitto ci siamo fermati per fare snorkeling sulla barriera corallina, che è stata un'esperienza molto bella che non avevo mai fatto prima. Raggiunta l'isola abbiamo accarezzato le razze che strisciano vicino alla costa e abbiamo dato da mangiare ai pellicani. Per pranzo ci hanno servito dei pesci enormi cucinati sulla brace, mentre al ritorno l'esuberante capobarca Manolo mi ha fatto bere una quantità industriale di tequila, che non ha di certo influito positivamente sul mio mal di mare.

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L'ultima sera sono andata in una sgargiante discoteca di Cancun dove ho ballato fino alle 5, e da allora se penso a Cancun mi viene in mente una chitarra gigante fatta di lucine colorate. E così il viaggio è finito in un battibaleno, con l'impressione di non aver conosciuto per niente la vita vera ma solo la vita fasulla e luccicante che sembra quello che i turisti vanno cercando, visto che di vita vera e noiosa ne hanno già abbastanza nelle loro quotidiane vicissitudini. E con la promessa di non mettere mai più piede in un villaggio all inclusive.