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Trebisonda: da non perdere

"Perdere la Trebisonda" significa essere disorientati ma anche inquietarsi, spazientirsi: il suo faro infatti, anticamente, costituiva un importantissimo punto di riferimento per le navi che percorrevano quelle rotte infide. D'altra parte, dopo essere stata per due secoli un regno crociato, fu l’ultima città ad essere conquistata dagli Ottomani: forse fu in quel momento che la locuzione iniziò ad entrare in voga, visto che perdere Trebisonda ebbe (letteralmente) pesanti conseguenze economiche e politiche per tutto l’Occidente. Ancora oggi è il porto più grande della Turchia sul Mar Nero, situato in una posizione strategica tra Europa e Medio Oriente.
Non so se sono qui più per amore dei giochi di parole, o perché vi fece tappa Marco Polo lungo la Via della Seta, oppure perché è così vicina al confine con la Georgia. Fatto sta che poco tempo dopo sono seduta su un minuscolo sgabello di fronte a una çorba di legumi, ricambiando il sorriso di uomini e donne che sorbiscono il tè ai tavolini adiacenti. L’unico avventore che parla qualche parola di inglese è ansioso di darci il benvenuto: ci tiene subito a dire che egli non bada affatto alla provenienza o alla religione delle persone, ma ama tutto il genere umano. Indistintamente. Tranne gli arabi. “Avete mai notato che in tutti i Paesi arabi ci sono sempre guerre?” Ecco.
L’attuale Trabzon si presenta come una città cosmopolita, indaffarata e aperta come tutti i porti di mare. Le sue mercanzie sono generosamente esposte nei negozi e nelle bancarelle del bazar: retine colme delle celebri nocciole locali (findik), colorati pacchi di tè di cui la regione è grande produttrice, gioielli lavorati come all'uncinetto. E poi le impeccabili pasticcerie, le solide chiese bizantine convertite in moschee, i minareti, il vecchio ponte di legno di Zagnos affacciato sull’omonimo Valley Park, l’antica fortezza, l’immancabile statua di Ataturk, le eleganti dimore colore pastello sulle pendici delle alture, i giardini pieni di fiori colorati.
Ed eccoci su un promontorio affacciato sul mare al cospetto di Hagia Sophia, uno dei migliori esempi di architettura tardo bizantina della regione. L’edificio, costruito come chiesa dai Comneni all'epoca di massimo splendore dell’impero, è prima diventato una moschea e in seguito un museo, quando negli anni Sessanta vennero riportati alla luce alcuni affreschi bizantini che, in nome dell’iconoclastia, erano stati ricoperti di calce dagli ottomani. Il colpo di scena è che dal 2013 è tornato parzialmente ad essere un luogo di culto musulmano, non senza polemiche riguardo il presunto cambio di corso rispetto alla notoria secolarizzazione della Repubblica turca. E infatti sono visibili soltanto gli affreschi sulle pareti dei portici esterni, visto che il cuore dell’edificio è chiuso ai visitatori.
A cena ci approcciamo alla cucina tipica del Mar Nero gustando alici fritte, polpette di carne e pane di granturco, in un ristorante elegante (ma a buon mercato come tutto il resto), gestito in modo squisitamente gentile. Quindi veniamo condotte da uno studente altrettanto cerimonioso in un pub collocato all'ultimo piano di un edificio. La terrazza si affaccia sulla sagoma di Ataturk e sul nome Trabzon scritto a grandi lettere, entrambi ben illuminati sulla collina, accanto alla bandiera turca. Il giovane universitario commenta sarcasticamente l’onnipresenza del Padre dei Turchi mettendosi la mano sul cuore: “He is everywhere”. Ci tiene a farci sapere inoltre che non ha particolarmente gradito la recente visita elettorale del Grande Presidente e che comunque, appena ottenuta la laurea in giornalismo, raggiungerà la sua fidanzata in Inghilterra.

Per l'affitto dell'auto ci siamo rivolte al receptionist dell’hotel, il quale ci ha consigliato un’agenzia che non avevo mai sentito nominare. Il fatto che non avessero una sede fisica avrebbe dovuto insospettirci, ma che non avremmo dovuto fidarci lo capiamo soltanto quando a 200 metri dall’hotel la Fiat Linea resta inchiodata al centro di un vicoletto e non ne vuole sapere di rimettersi in moto. La discutibile politica di questa agenzia infatti è quella di fornire l’auto con il serbatoio pressoché a zero, ma nel nostro caso di carburante non ce n’era proprio. Al telefono, il titolare ci ha accusate di averlo consumato tutto e a nulla è valso spiegargli che eravamo a pochi passi dall’hotel e che solitamente non beviamo benzina a colazione: poteva mandarcene un po’ ma solo con un sovrapprezzo. A quel punto anche gli altri presenti, che si erano immediatamente materializzati per prestarci aiuto, si passano il telefono di mano in mano per inveire a turno contro il titolare.
Nell’attesa che un amico dei convenuti venga a portarci una tanica di diesel, parliamo del più e del meno con i nostri benefattori, dai quali apprendiamo che Trabzon è molto affollata perché questa è la settimana del Nawrūz, la ricorrenza tradizionale persiana che celebra il nuovo anno e l’inizio della primavera. Molti turisti iraniani hanno scelto questa meta per passare le vacanze, anche se ormai si tratta di una festa considerata propria anche in Turchia, mentre fino al 2000 era vietato celebrarla perché molto sentita dai curdi e dunque troppo intrisa di riferimenti politici.
Si commenta anche l’altro evento del week-end: il comizio del Grande Presidente che, “unfortunately” (come commenta uno di loro), ha avuto luogo due giorni fa. “He is not normal”, aggiunge l’altro, picchiettando l’indice contro la tempia. E pensare che siamo in una delle provincie in cui il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo ha preso circa il 60% dei voti.

Racconto di viaggio "PIDE E TULIPANI. Primavera in Anatolia orientale" 

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